Waiting for the crash

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L’Eurozona potrebbe ritrovarsi tra un anno in piena stagnazione, complice la debolezza cinese ed insormontabili conflitti di governance interna di alcuni paesi come il nostro e la Francia che continuano a prendere tempo; un nuovo shock finanziario potrebbe produrre manovre di risanamento obbligate

Mettendo in archivio ormai il 2014 come un anno ibrido sui mercati finanziari in cui si sono manifestati nuovi focolai di tensione finanziaria e geopolitica e in cui si intravedono all’orizzonte nuove pericolose nubi, proviamo a fare un quadro sulle aspettative e sulle possibili novità che ci potrebbe portare il 2015. Partiamo con il ricordare che durante il nuovo anno avremo modo di conoscere finalmente la vera essenza e carattere di alcune banche centrali. Tanto per iniziare quella inglese e quella statunitense dovrebbero dare avvio ad una nuova fase di rialzo dei tassi con le ovvie conseguenze che questo avrà soprattutto sugli investimenti obbligazionari. Lo sharp rise (rialzo morbido, senza strapponi) rappresenta il consensus atteso per le comunità finanziarie, tuttavia sorprese sono dietro l’angolo. Le due altre banche centrali, quella giapponese e quella europea, giocheranno invece un ruolo quasi contro corrente a fronte della dichiarata divergenza di politica monetaria rispetto agli USA. In particolar modo la BCE dovrà definitivamente esporsi con interventi non convenzionali, sempre che vi sarà ancora Mario Draghi alla sua guida e quest’ultimo invece non abdichi per divergenze interne insanabili, preferendo ricoprire un altro ruolo di prestigio istituzionale quale quello di nuovo Presidente della Repubblica in Italia (ipotesi effettivamente possibile a fronte delle tensioni che iniziano a manifestarsi all’interno del Consiglio Direttivo dell’autorithy monetaria europea).

 

A riguardo ricordiamo che proprio la BCE risulta l’unica banca centrale dei paesi sviluppati che abbia ridimensionato sensibilmente il proprio attivo patrimoniale, quando le tre sorelle invece lo hanno massivamente aumentato (il Giappone oltre ogni ragionevole soglia). L’Eurozona continua ad essere il malato immaginario di tutta l’economia occidentale, caratterizzata da una incapacità interna di ridurre l’indebitamento medio del settore pubblico (con l’Italia in testa a tutti). La crescita statunitense è stimata ad un 3% (valore non particolarmente entusiasmante per quanto hanno sino ad oggi hanno fatto gli USA), mentre quella europea dovrebbe superare mediamente il livello di un punto e mezzo. Sempre che le tensioni geopolitiche e geoeconomiche che stanno caratterizzando il mondo intero, Russia, Venezuela e di nuovo la Grecia, non diventino il trigger che innescherà una nuova grande crisi finanziaria internazionale proprio sul mercato del debito sovrano. Su questo punto il 2015 ha comunque notevoli probabilità di riuscire nell’impresa. Rimane pacifico comprendere come in sei anni non si è fatto altro che spostare i problemi da risolvere sempre in avanti confidando che in qualche modo la crescita economica si manifestasse e quindi aiutasse a ridimensionare le preoccupazioni delle autorità sovranazionali.

 

L’Eurozona potrebbe ritrovarsi tra un anno in piena stagnazione, complice la debolezza cinese ed insormontabili conflitti di governance interna di alcuni paesi come il nostro e la Francia che continuano a prendere tempo. Proprio un nuovo shock finanziario infatti potrebbe produrre manovra di risanamento obbligate in quanto nazioni come quella italiana e francese non sono al momento in grado di reggere ad un nuovo shock esogeno sui mercati finanziari. In questo momento sta facendo da ammortizzatore endogeno di competitività e produttività proprio il rapporto di cambio tra la moneta unica ed il biglietto verde. L’America sta di fatto aiutando – direi volontariamente – l’Europa grazie a questa rivalutazione forzata del dollaro, con target un possibile livello di 1.15. Tale contropartita sta reggendo al continuo e sempre più preoccupante rallentamento cinese che produce pertanto un minor riverbero alle esportazioni europee: vi rimando ad un precedente post che analizzava la salute del sistema bancario cinese. Infine rimane tuttora scottante lo scenario possibile sull’evoluzione del prezzo del petrolio, quest’ultimo infatti in caso di ulteriore discesa e duratura permanenza ai livelli attuali mette a rischio di default finanziario gran parte dell’industria statunitense di estrazione dello shale oil & gas, che è comunque direttamente responsabile proprio della iniziale discesa del prezzo del greggio.

 

Per chi mi scrive percependo, impaurito, la consistenza di questi rischi e dei loro possibili effetti sui portafoglio a sola componente obbligazionaria mi sento di abbracciare questa loro preoccupazione ed evidenziare come inesorabilmente il 2015 sarà caratterizzato da notevole volatilità, tanto per l’azionario quanto per l’obbligazionario. Purtroppo protezioni o soluzioni che rendano indenne integralmente il proprio portafoglio non ne esistono: l’unica è rappresentata dalla detenzione di sola liquidità in attesa di momenti migliori, che tuttavia vi espone ad altri rischi (mancanza di proventi per il periodo in questione e nuove turbolenze che potrebbero caratterizzare le grandi banche europee ed a cascate quelle più piccole). Evitate pertanto l’accentramento delle vostre disponibilità nei confronti di un solo istituto, magari con discutibile o modesta solidità patrimoniale. In tal senso avrebbe molto più significato una esposizione con fondi obbligazionari dinamici e flessibili che investono in diverse classi di attivo, suddivise a loro volta per rischio emittente, rischio valuta e rischio paese in grado di generare periodicamente income (flusso cedolare mensile o trimestrale). Per chi ne ha fatto richiesta specifica anche quest’anno è stato redatto il nuovo report finanziario Active & Global 2014 dedicato a chi vuole approfondire i rischi e le migliori opportunità delle investment house mondiali. Con l’occasione un augurio di serenità per le imminenti festività natalizie e buoni investimenti a tutti i lettori del portale.

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