
Miti osannati o stroncati, a torto o a ragione, non solo dal pubblico ma anche da addetti ai
lavori, da altri musicisti, da critici musicali, da giornalisti… Solo il Tempo darà la sua sentenza.
Forse non è proprio quanto avrebbero voluto, ben altre notizie hanno distolto l’attenzione dal loro “matrimonio a quattro” ma si è parlato molto dei Maneskin, anche se non hanno scandalizzato nessuno. Trasgressione? Ma figuriamoci, ora la vera trasgressione è rappresentata dall’eleganza, dalla sobrietà, dalla proprietà di linguaggio, dalla misura… pertanto eccesso più, eccesso meno, non è certo quello che suscita interesse attorno alla band romana.
Certo, c’è sempre chi si è sentito un po’ offeso, dal ricorso alla cerimonia forse più bella della vita, il matrimonio, organizzato in modo grottesco , con tanto di officiante e spumeggianti abiti bianchi, per il lancio della loro ultima fatica, Rush, ma sono, ripeto, tutte cose che appartengono alla smodata ricerca del sensazionale, del trasgressivo, di ciò che nelle loro intenzioni vorrebbe essere il classico pugno nello stomaco.. ahimè, del tutto mancato perché, ora come ora, sia per i Maneskin sia nella società, semplicemente guardandoci attorno, vediamo che l’asticciola della cosiddetta trasgressione è quotidianamente spostata più in alto, tanto da esserci assuefatti praticamente a qualsiasi cosa. .
Colpisce, invece, e anche molto, che non sia assolutamente tollerato il dissenso: non si può esprimere un parere contrario al pensiero comune e dominante, seguito in massa dal pubblico che osanna i Maneskin qualsiasi brano propinino, qualsiasi esibizione, musicale e non, facciano. Non si possono assolutamente criticare, sono “i salvatori del rock and roll”, anche se, da qualche parte, inizia a scricchiolare questa investitura, a partire da quell’America che li ha accolti e osannati ma che pare li stia ora anche un po’ ridimensionando.
Hanno le loro ottime ragioni, sia gli adoratori e sostenitori sia i critici che dissentono… non è questo l’argomento dell’articolo. Il problema è l’inattaccabilità della band romana della quale si può parlare solo bene o benissimo, altrimenti si sta sbagliando: o se ne dice un gran bene o si passa automaticamente dalla parte del torto..
Capita al cittadino qualsiasi, capita anche a personalità decisamente competenti, come il maestro Uto Ughi, strapazzato ben bene e messo alla berlina perché ha espresso il suo parere non esattamente positivo sui quattro, intoccabili, evidentemente. Mal gliene incolse.
Le cronache degli anni ormai lontani ci riportano come andò l’esordio in Italia dei Beatles che, loro sì, rivoluzionarono la Musica della seconda metà del Novecento, esordio costellato di sentenze sussiegose, di stroncature che a tutt’oggi fanno ridere per quanto furono sprovveduti e imprudenti i loro autori… esperti musicali, veri tromboni saccenti, giornalisti di grande calibro che, dopo aver sentito tre note del primo brano eseguito a Milano dai Beatles già avevano capito tutto e confezionarono i loro bravi articoli liquidandoli in due parole, parole che oggi spiccano per imprudenza, per superficialità, per becero qualunquismo, per miopia artistica.
Le loro parole sono presenti in Rete, sono oggetto di articoli, blog, commenti vari.
All’indomani del concerto al Velodromo Vigorelli un articolo dello storico giornale della sinistra italiana sentenzia che «il fenomeno Beatles da noi non esiste» (L’Unità del 25 giugno 1965)
Alfonso Madeo, critico del Corriere: «Che delusione quest’arrivo dei Beatles a Milano: proprio non valeva la pena che si mobilitassero tanti fanatici per tributare ai quattro cavalieri dell’urlo il primo applauso italiano».
Report del concerto: “ un fragore assordante, disumano, ininterrotto” («La Stampa» del 25 giugno 1965)
«Gente» stroncava così la band di Liverpool: «Essi non sanno scrivere una nota di musica e hanno composto le loro canzoni fischiettando le arie che poi imparano a memoria».
Natalia Aspesi parlò solo dei loro capelli, ironizzando anche sui bigodini cui, a suo dire, dovevano la piega… Illeggibile.
I Beatles avevano già fama planetaria eppure, in Italia, lorsignori ne parlavano così. Nessuno all’epoca massacrò questi illustri censori improvvidi e superficiali, né li massacra oggi, anche se lo meriterebbero… eccome. È fonte d’infinito sollazzo, questo sì, leggere certe stroncature gratuite, ma è nulla in confronto alla levata di scudi contro il Maestro Uto Ughi per criticare il quale i difensori d’ufficio dei Maneskin, in massa, hanno scomodato la libertà di espressione, la molteplicità delle culture musicali e tante altre bellissime cose, innegabili ma che valgono anche per chi, come l’insigne musicista, non apprezza la band romana sulla quale si permette di dissentire, a ragion veduta e non sulla base di osservazioni superficiali o qualunquiste.
Una polemica un po’ troppo accesa, quella che comunque ne è scaturita, degna di miglior causa, sbilanciata a favore della giovane band romana, mentre gli strali sono riservati a Ughi.
Una frase come questa, tratta da un’intervista rilasciata dal Maestro il 19 aprile del 2021 alla giornalista Adriana De Conto, non gli fa sicuramente guadagnare consensi:
«La rottura con il passato ha prodotto una cultura di bassissimo livello; che ha disconosciuto il ruolo prestigioso che l’Italia si era conquistata. La sinistra ha potuto proporre i suoi esponenti e formare le platee a suo gusto».

Una risposta
Fuori dal coro
Sarò pure vecchio e bacucco ed ormai fuori dai flussi storici ma io, ogni qual volta sento o vedo i Maneskin, sono preso da irrefrenabili conati di vomito.
Battezzare come semplicemente trasgressivo il loro comportamento è soltanto riduttivo.
Sì perché ci troviamo sempre di fronte a manifestazioni disgustose insopportabili anche per stomaci forti.
Sono pertanto tutta la vita con Uto Ughi e non mi interessa essere definito retrograde e non a passo con i tempi.
E non mi riferisco solo alla pagliacciata del matrimonio a quattro ma a tutto il complesso delle porcate poste in essere dai Maneskin da quando sono nati.
Premetto che , da vecchio napoletano, devo dire che sono monotematico: amo unicamente le canzoni napoletane del repertorio classico e non ascolto altro.
Le canzoni napoletane ,che ascolto quotidianamente, hanno per me un effetto catartico anche se “me scippano o core “.
Mi riportano alla prima infanzia ed alla ormai lontanissima giovinezza.
Devo confessare che all’inizio anche io non apprezzavo i Beatles.
Ma poi con il passare degli anni ho cominciato a gradirli e li ascolto volentieri anche oggi.
Non amo il rap, le canzoni moderne, quelle parlate e magari infarcite di espressioni disgustose.
Per me la musica deve accarezzare l’anima , non risvegliare istinti selvaggi o primordiali.
Non seguo la moda ?
Ma chi se ne frega ?