Forse è stato per effetto dell’inchiesta sullo stato della scuola o, forse, l’aver ritrovato il decrepito sussidiario di quinta elementare. Fatto sì è che sfogliando quelle pagine di un tempo terribilmente lontano sono riaffiorati alcuni versi che era costume far imparare a memoria agli scolari.
Cose di poco conto, non impegnative, poesiole in rima senza pretese letterarie, ma traboccanti di ricordi, di tenerezza. Un’onda di nostalgia che mi ha inumidito le palpebre.
Oggi di quei versi, di quelle rime baciate non v’è più traccia, si ha orrore di allenare la memoria degli alunni con siffatte sciocchezzuole.
Però, ho pensato (forse m’illudo), che a qualcuno potrebbe fare piacere ritrovarle, rileggerle …
Al Re Travicello
piovuto ai ranocchi,
mi levo il cappello
e piego i ginocchi;
lo predico anch’io
cascato da Dio:
oh comodo, oh bello
un Re Travicello!
Calò nel suo regno
con molto fracasso;
le teste di legno
fan sempre del chiasso:
ma subito tacque,
e al sommo dell’acque
rimase un corbello
il Re Travicello.
Da tutto il pantano
veduto quel coso,
«È questo il Sovrano
così rumoroso?»
(s’udì gracidare).
«Per farsi fischiare
fa tanto bordello
un Re Travicello?
Un tronco piallato
avrà la corona?
O Giove ha sbagliato,
oppur ci minchiona:
sia dato lo sfratto
al Re mentecatto,
si mandi in appello
il Re Travicello».
Tacete, tacete;
lasciate il reame,
o bestie che siete,
a un Re di legname.
Non tira a pelare,
vi lascia cantare,
non apre macello
un Re Travicello.
Là là per la reggia
dal vento portato,
tentenna, galleggia,
e mai dello Stato
non pesca nel fondo:
che scienza di mondo!
che Re di cervello
è un Re Travicello!
Se a caso s’adopra
d’intingere il capo,
vedete? di sopra
lo porta daccapo
la sua leggerezza.
Chiamatelo Altezza,
ché torna a capello
a un Re Travicello.
Volete il serpente
che il sonno vi scuota?
Dormite contente
costì nella mota,
o bestie impotenti:
per chi non ha denti,
è fatto a pennello
un Re Travicello!
Un popolo pieno
di tante fortune,
può farne di meno
del senso comune.
Che popolo ammodo,
che Principe sodo,
che santo modello
un Re Travicello!
Giuseppe giusti
La favola, per certi versi attuale, fu magistralmente massa in rima dal Giusti nel 1846. Il poeta la riprese da una favola di Fedro che, a sua volta, l’aveva tradotta da Esopo.