Forse è stato per effetto dell’inchiesta sullo stato della scuola o, forse, l’aver ritrovato il decrepito sussidiario di quinta elementare. Fatto sì è che sfogliando quelle pagine di un tempo straordinariamente lontano sono riaffiorati alcuni versi che era costume far imparare a memoria agli scolari.
Cose di poco conto, non impegnative, poesiole in rima senza pretese letterarie, ma traboccanti di ricordi, di tenerezza. Un’onda di nostalgia che mi ha inumidito le palpebre.
Oggi di quei versi, di quelle rime baciate non v’è più traccia, si ha orrore di allenare la memoria degli alunni con siffatte sciocchezzuole.
Però, ho pensato (forse m’illudo), che a qualcuno potrebbe fare piacere ritrovarle, rileggerle …
Pianto antico
L’albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fior
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
Giosuè Carducci
Il poeta trentaseienne compose l’ode nel 1871, nella tragica circostanza della morte del figlioletto Dante di appena tre anni[1]. Il bimbo portava lo stesso nome del fratello di Carducci, morto tragicamente nel 1857, cui il poeta si rivolge in Funere mersit acerbo.
Il pianto del padre è antico come il dolore che gli uomini di tutti i tempi hanno provato di fronte alla morte di un figlio e i versi settenari imprimono un ritmo lento, quasi di nenia.
[1] Dante Carducci (Castagneto, 21 giugno 1867 – 9 novembre 1870) fu uno dei 5 figli del poeta e di Elvira