Forse è stato per effetto dell’inchiesta sullo stato della scuola o, forse, l’aver ritrovato il decrepito sussidiario di quinta elementare. Fatto sì è che sfogliando quelle pagine di un tempo straordinariamente lontano sono riaffiorati alcuni versi che era costume far imparare a memoria agli scolari.
Cose di poco conto, non impegnative, poesiole in rima senza pretese letterarie, ma traboccanti di ricordi, di tenerezza. Un’onda di nostalgia che mi ha inumidito le palpebre.
Oggi di quei versi, di quelle rime baciate non v’è più traccia, si ha orrore di allenare la memoria degli alunni con siffatte sciocchezzuole.
Però, ho pensato (forse m’illudo), che a qualcuno potrebbe fare piacere ritrovarle, rileggerle …
Alla Luna
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Giacomo Leopardi
Questa, che io rammenti, fu l’ultima poesia di Leopardi che studiammo alle medie. Ci attendevano i versi più impegnativi del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, de “Le ricordanze”, de “La ginestra o il fiore del deserto” e di molte altre. Ma eravamo ormai ginnasiali.
Alberto Broglia