Dottore, perché abbandonare il sapore di una buona fiorentina o di un salame fatto in casa?
Eh, difficile rispondere soprattutto per noi emiliani.
Diciamo che ci sono tre macro-pensieri che portano ad una scelta del genere. Il primo è totalmente di carattere etico e trova radici profonde anche nel pensiero antico, con passi di Plutarco e Pitagora che sono emblematici.
In sostanza i vegetariani non accettano di mangiare carne perché non accettano il dolore che un animale deve sopportare. Mi rifaccio direttamente alla mia esperienza personale: dopo gli studi di veterinaria frequentai il macello comunale a Bologna.
Fu un periodo durissimo che mi segnò profondamente. Vedevo queste bestie piangere mentre andavano incontro al loro destino, venivano spinte nel tunnel della morte con bastonate e pugnali elettrici. Ecco, l’aspetto etico sta tutto qui.
Come me, e sono 21 anni che ho intrapreso questa decisione, ci sono grandi uomini del passato che decisero di togliere la carne dai loro pasti, mi riferisco tra gli altri a Einstein e Leonardo Da Vinci.
Ma ci saranno anche chiavi salutiste alla base di una scelta così impopolare?
E passiamo quindi alla seconda interpretazione, quella data dall’oncologo Umberto Veronesi.
Ha un fondamento medico. Lui dice che esiste un collegamento diretto tra la carne e i tumori, in particolare quelli al colon.
Mi spiego meglio, l’intestino umano è lungo, al contrario di quello ad esempio di cani e gatti, animali carnivori. Il nostro corpo quindi non è predisposto a trasformare importanti dosi di carne.
E ai giorni nostri in Europa si consumano circa 90 chilogrammi di carne all’anno, negli Usa arriviamo a 120 chili, contro i 7 degli anni ’30 e ’40.
Lei parla anche di una motivazione globale che arriva a sostegno dei vegetariani .
Mentre i primi due motivi sono personali, questo va letto con occhio generale.
La popolazione mondiale è in aumento esponenziale, c’è chi parla di bomba demografica, si va incontro ad un problema energetico di proporzioni gigantesche. Parliamo di numeri così ci si intende: per produrre 1 chilo di carne si bruciano 10 chili di proteine vegetali.
Per dar da mangiare agli animali si disboscano intere foreste, trasformate in colture estensive di soia e mais.
A lungo andare questo input distruggerà l’ecosistema, con conseguenti legami con effetto serra e surriscaldamento del pianeta.
L’altro aspetto globale è legato al consumo di carne: tra Usa ed Europa (il 20% della popolazione mondiale) si consumano l’80% dei prodotti alimentari mondiali. Ma la vera preoccupazione è il fatto che anche Cina e India si stanno allineando alla tendenza di cibarsi principalmente di carne. Se così sarà, si dovrà inevitabilmente aumentare la produzione con ovvie ricadute sull’intero sistema mondiale, perciò più pascoli e monocolture e meno foreste e alberi.
Secondo lei la politica può in un qualche modo indirizzare la scelta vegetariana?
Credo che debba partire dai singoli questo nuovo modo di cibarsi. In Italia i vegetariani sono l’1% della popolazione e quando ti identifichi come un vegetariano vieni visto di cattivo occhio. Al ristorante lo fai presente e spesso la risposta è “pomodorini e mozzarella”. Serve invece una strategia di promozione culturale in cui l’evitare di mangiare carne non deve essere visto come una privazione.
Mi rendo conto che è un discorso complicato, ma se nei prossimi anni riuscissimo ad abbas
sare il consumo medio pro-capite sarebbe già un passo avanti importante, in attesa poi che possano essere intraprese strategie comuni. Ma il pensiero che deve passare è che i vegetariani non sono asceti, vivono nella realtà.