Sconcerto, crisi e divisioni nel PdL

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I naufraghi del Pdl “”Silvio, sali a bordo””

del 28 gennaio 2012 di Francesco Bei

 

Da qui a maggio, la data delle amministrative, può accadere di tutto: anche una scissione, certo. Ormai, in parlamento, la spaccatura tra chi sostiene Monti e chi lo avversa è verticale». A parlare è un ex ministro di Berlusconi. Che sta lavorando in questi giorni al reclutamento. Avvicinando uno a uno i deputati per chiedergli «tu che farai se bisognerà staccare la spina al governo? Sarai dei nostri?». Ecco, al di là della retorica, l’ impressione è che l’ onda alta provocata dall’ arrivo dei tecnici abbia investito prima e con più forza il Pdl. Sottoposto a una fortissima pressione centrifuga a causa del sostegno a Monti. Incalzato dalle lobby, che reclamano modifiche al decreto liberalizzazioni. Schiacciato dal ricatto di Bossi sulla giunta della Lombardia, allettato da Casini al Sud. Con la matematica certezza, come si legge nel report riservato che Denis Verdini ha sottoposto giorni fa al «capo», di un clamoroso cappotto alle amministrative, con la «perdita secca» in tutti e 28 i comuni capoluogo e le 7 province che vanno al voto.

Quella davvero sarebbe la fine. «Sono pessimista – ha confessato l’ ex premier ancora ieri a un’ amica – e questa rottura con Bossi non so dove ci porterà». Altro dunque che “”il Caimano””. La scena che si sono trovati di fronte gli uomini e le donne del Pdl, chiamati giovedì sera a raccolta a palazzo Grazioli, «sembrava – confessa uno dei presenti – piuttosto quella di un funerale». II Cavaliere, depresso oltretutto per la condanna che ritiene ormai «certa» al processo Mills, li aspettava con un montaggio dei suoi 18 anni di impegno politico: dalle strette di mano con Clinton al G8 dell’ Aquila. Una Spoon River per immagini, che alla fine lo ha anche commosso, con tutti che gli dicevano «caro Silvio, i prossimi 18 anni saranno anche migliori, vedrai, torneremo al governo».

Ecco, per comprendere il «male oscuro» che ha preso il Pdl bisogna partire da qui, dall’ eclissi del leader che finora ha tenuto insieme le tre grandi anime del partito: gli ex missini, gli ex socialisti e gli ex democristiani. Fuori lui da palazzo Chigi, senza voglia e possibilità di rientrarci, sta saltando tutto. Tanto che ormai si parla apertamente di scissione, di federazioni di partiti, di Pdl del Nord e del Sud. Il tutto in un vortice di libanizzazione tra clan, correnti, potentati in lotta fra loro. E, a proposito di Libano, giusto ieri Franco Frattini e Claudio Scajola erano proprio a Beirut, ospiti del falangista Gemayel, per l’ internazionale democristiana. Insieme a Pier Ferdinando Casini. Un caso? Scajola è il più avanti nell’ elaborazione di una strategia che porta il Pdl a sciogliersi nella futura casa dei moderati. «Siamo arrivati un bivio ù spiega dalla sua stanza a Beirut ù, si tratta di darci finalmente un’ identità: decidere chi siamo, dove dobbiamo andare e con chi». Scajola, e con lui Frattini e la gran parte degli ex Dc, sono per sostenere Monti senza se e senza ma. «Dobbiamo approfittare del fatto che non governiamo – dice l’ ex ministro dello Sviluppo – per preparare la strada del domani. Altrimenti saranno altri a occupare lo spazio dei moderati». Sono considerazioni che Frattini ripete spesso ad Angelino Alfano. E proprio il segretario del partito, in gran segreto, sta pianificando un tour di accreditamento personale presso le cancellerie europee che lo porterà presto a Londra, Parigi e Madrid. Presentandosi come il leader italiano del Ppe. Alfano deve crescere in fretta. Muoversi in anticipo prima che il partito gli si sciolga sotto al naso. Per non farsi trovare impreparato, in vista della candidatura del 2013, ha persino promesso all’ amico Frattini di imparare l’inglese entro la prossima estate con un corso accelerato. Ma il tempo corre troppo veloce anche peri piani di Angelino, l’ eterno delfino. Gli ex An infatti scalpitano, guidati da Ignazio La Russa. Che intravede il crollo del sistema di potere messo in piedi in Lombardia in quindici anni. Esagerazioni? Ieri “”Libero”” apriva la prima pagina con un irriverente «ADDIO PDL». Con Daniela Santanché che è arrivata a paragonare il Cavaliere al comandante della Costa, ingiungendogli un «Sali sulla nave, Berlusconi, cazzo!». L’ eclissi del leader, fermo sullo scoglio mentre la nave affonda. In questa Babele di lingue, di tattiche contrapposte che è diventato il Pdl, chi cerca di tenere la baracca in piedi sono i capigruppo. Diventati, forse anche loro malgrado, le uniche bitte a cui ancorare il vascello alla deriva. E’ stato Maurizio Gasparri a fare la spola con palazzo Chigi per limare il decreto sulle liberalizzazioni la notte prima dell’ approvazione. Ed è stato Fabrizio Cicchitto a gestire la partita della mozione comune sull’ Europa. E proprio Cicchitto ha instaurato la consuetudine di una consultazione pressoché quotidiana e riservata con il dirimpettaio Dario Franceschini, capogruppo del Pd. E’ la nascita, di fatto, di quella cabina di regia parlamentare che Casini reclamava in aula un paio di settimane fa. E che La Russa vede come fumo negli occhi. Del gruppo fa parte anche Gaetano Quagliariello, che lavora insieme agli sherpa del Pd per una nuova legge elettorale. La scommessa è un triplo salto mortale: sostenere Monti, salvare il Pdl e il bipolarismo. «C’è un interesse convergente ù osserva Sandro Bondi ùtra noi e il Pd per fare le riforme. La rotta è quella e alla fine gli elettori, anche quelli della Lega, sapranno giudicare chi ha messo al centro gli interessi del paese». Ma il problema, a questo punto, è se ci sarà ancora un Pdl sulla prossima scheda elettorale.

 

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Falchi in pressing su Silvio: “”Andiamo con la Lega””

del 27 gennaio 2012 di Salvatore Dama

 

Parte del Pdl preme su Berlusconi ma lui frena: Non sono un irresponsabile, i forconi fanno paura. Bossi? Lo lascio fare

Tu chiamale se vuoi «visioni non omogenee» sul sostegno al governo Monti. Ecco, questa è la versione più edulcorata che riesce a dare uno dei partecipanti alla cena di giovedì sera a Palazzo Grazioli. A tavola, con  Silvio Berlusconi e Gianni Letta, c’erano il segretario Alfano, il portavoce Bonaiuti, i coordinatori Verdini, La Russa, Bondi; i capigruppo  Cicchitto e Gasparri; i vice Corsaro e Quagliariello; un po’ di ex ministri: Brunetta, Sacconi, Romani, Matteoli.

Come è andata, sul serio? Male. Il vertice è durato fino a tarda notte senza che il leader riuscisse a trovare una  sintesi tra le posizioni in campo, i falchi e le colombe. Così, a parte lo sfogatoio e il parlarsi addosso, la riunione si è chiusa con un nulla di fatto. Anzi no, una decisione c’è: martedì e mercoledì, a via dell’Umiltà, i vertici del Pdl riceveranno le categorie e gli ordini professionali interessati dal decreto liberalizzazioni del governo. Fatte le consultazioni, gli azzurri decideranno quali emendamenti presentare al testo. Che, così com’è, hanno annunciato i falchi, risulta «invotabile». Dentro, si sfoga il vice capogruppo Massimo Corsaro, ci sono «cose assurde». Una riguarda i distributori di benzina: «I tecnici, da un lato, spingono fortemente perché ci siano i self service, dall’altro reintroducono le commissioni bancarie per il pagamento della benzina tramite carta di credito o bancomat. Ma tranquilli», ironizza, «questo non è il governo dei banchieri…».

Ecco, sullo sfondo rimane il quesito amletico: essere o non essere, con Monti? La corrente degli “elettricisti” (quelli che «stacchiamo la spina») è capitanata dagli ex An, i più incazzati verso l’esecutivo tecnico. Fa fronte comune con loro il coordinatore azzurro Denis Verdini. Mentre, su temi specifici, hanno molto da ridire sui professori anche gli ex ministri Sacconi e Brunetta.  I post An l’hanno messa giù parecchio catastrofica. Hanno spiegato al Cavaliere che, senza un cambio di strategia, il Pdl è destinato a sparire: «Eravamo antitetici alla sinistra e per l’abbassamento delle tasse. Ora governiamo col Pd e abbiamo messo la firma sotto una manovra che strozza gli italiani con la pressione fiscale…». La Russa e c. hanno proposto due soluzioni a Berlusconi: elezioni il prima possibile, anche perché  se si chiude la finestra del primo semestre 2012, «addio al progetto di leadership di Angelino Alfano»; la seconda opzione è  «passiamo all’opposizione con la Lega». Il governo? In piedi con  quei 40-50 fuoriusciti dal Pdl che, si suppone,  continuerebbero a sostenere Monti e i professori. Se invece casca, amen. Si torna alla prima ipotesi. Una cosa è certa e  i postmissini lo giurano al Cavaliere:  «Nessuna scissione, non faremo la fine di Fini». Bene, poi ci sono le colombe. Quelle che hanno un approccio diametralmente opposto alla situazione contingente. Gaetano Quagliariello, per esempio, dialoga con la sinistra su riforme e legge elettorale. Allo studio c’è un’ipotesi di mozione comune e presto i capigruppo si vedranno per buttare giù il testo. Franco Frattini ieri era a Beirut con Pier Ferdinando Casini per una manifestazione del partito maronita. L’idea dell’ex ministro degli Esteri è quella di  una federazione di tutti i partiti di area Ppe alleata con la Lega. Pier nicchia. Ha in mano il pallino, aspetterà l’ultimo momento per decidere con chi stare.

Berlusconi? Tenta di placare i bollori dei suoi. Per il momento non ha in mente di cambiare linea. «Non sono un irresponsabile», ha spiegato a tutti i suoi interlocutori in queste ore, «ho a cuore questo Paese, Monti è bravo, va aiutato. Lo attaccheranno sempre con più veemenza, i Forconi fanno paura…». Non vuole che gli si parli male di Bossi, neanche dopo l’ultimo sberleffo: «Umberto per me è un fratello, lascio fare, so perché lo fa. È in difficoltà con i suoi». Queste settimane hanno permesso a Berlusconi di guardare alla politica con più distacco e maggiore lucidità. Magari poi ci ripensa, ma al momento Silvio ha perso il fuoco della passione: «Sono stufo, voglio fare la mia vita». Il futuro? «Consoliderò ciò che ho creato. Aiuterò Angelino e un gruppo di giovani alle prossime elezioni, poi ufficializzerò il mio addio alla politica…».

 

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Lotta nel Pdl di governo

del 28 gennaio 2012 di Salvatore Merlo

 

Aria di separazione tra berlusconiani ed ex An nel Partito dei confusi

Il Cav. sfoglia sondaggi, Alfano avanza nella trattativa con Bersani sulla riforma elettorale. Ex finiani nervosi

Angelino Alfano si è quasi alzato in piedi, tanto era il trasporto emotivo: “Sembriamo il partito dei confusi. Questo governo non lo si può criticare, e sostenere, allo stesso tempo. Dobbiamo starci dentro, convinti”. Durata fino all’una di notte, la cena di giovedì sera, evocativa dei diciott’anni della “discesa in campo”, tra fotografie e filmati d’amarcord, per Silvio Berlusconi e i gran gerarchi del Pdl è stato il momento dei lunghi discorsi. Come per “i reduci” cantati da Gaber, “ripartire da zero e occuparsi un momento di noi / affrontare la crisi, parlare, parlare e sfogarsi / e guardarsi di dentro per sapere chi sei”. In una notte di ricordi e celebrazioni, la linea dura di Ignazio La Russa e Altero Matteoli, di Paolo Romani e Renato Brunetta, degli ex di An che soffiano nelle orecchie del capo la frase “elezioni anticipate”, è andata sconfitta; malgrado Berlusconi sia uomo di mutevoli umori, e dunque chissà come andrà davvero a finire. Sulle inclinazione del Cavaliere devono avere influito le novità che Alfano gli ha comunicato con la soddisfazione del buon diplomatico, o del costruttore di ponti e dedali sottomarini: la trattativa con Pier Luigi Bersani sulla riforma della legge elettorale è in stato avanzatissimo. Il modello, un po’ tedesco e un po’ spagnolo, rafforza i due partiti di maggioranza relativa, il Pd e il Pdl. Nelle parole del costituzionalista democratico Salvatore Vassallo, che ha contribuito a elaborare la bozza in discussione, “sovrarappresenta i grandi partiti (di almeno 5 punti), sottorappresenta lievemente i medi (di un punto), sottorappresenta molto o esclude i piccoli”. Inutile dirlo, ma lo schema non piace alla Lega di Umberto Bossi, e scombussola i piani di Pier Ferdinando Casini (che ieri deve aver captato qualcosa nell’aria, tanto che alcuni uomini a lui vicinissimi, come Roberto Rao, hanno cominciato a dire che “parlare troppo presto di legge elettorale destabilizza Monti, non lo aiuta”). Per il Pdl la trovata è ingegnosa: permette di scaricare la Lega senza troppo soffrire e che – soprattutto – evita al partitone berlusconiano (un po’ sbandato) di finire prigioniero nella tela già stesa dall’Udc.

Berlusconi seduto al centro, su un lato del grande tavolo rettangolare nella sala di rappresentanza di Palazzo Grazioli. Nessun capotavola, ma una disposizione simbolica: Alfano alla sua destra, Gianni Letta alla sinistra, Maurizio Lupi accanto ad Alfano, Altero Matteoli accanto a Letta,  poi tutti gli altri: Maurizio Gasparri, Denis Verdini, Sandro Bondi, Maurizio Sacconi, Renato Brunetta, Anna Maria Bernini. Infine, anche Ignazio La Russa e Fabrizio Cicchitto. I due sono stati protagonisti, nel pomeriggio, di una mezza litigata la cui eco ritorna anche a casa del Cavaliere. La Russa era arrivato a minacciare un suo gruppo parlamentare autonomo; e quando a via del Plebiscito il mite Sandro Bondi prende la parola per dire che “così regaliamo il governo alla sinistra”, è anche all’ex colonnello finiano che intende riferirsi: “Immaginare una mozione di sfiducia al governo significherebbe sfasciare il partito e forse anche l’Italia”. A quel punto interviene Cicchitto: “Tenere il gruppo è già dura”. A unirli ci sono i ricordi, ma si fanno evanescenti; a dividerli ci sono molti rimpianti, alcune recriminazioni. “Grilli, Fortunato e Canzio hanno trovato per Monti quei soldi che a noi invece negavano”, ha detto Matteoli, ex ministro delle Infrastrutture, riaprendo il pesante volume della tremonteide: “C’era qualcuno che da dentro il governo lavorava contro di noi”. Ma il grande rimosso, che agita i pensieri di Berlusconi, è il legame con gli uomini di An strappati a Gianfranco Fini. “Funesto fu il predellino. Non avremmo mai dovuto metterci con quelli”, pensa Giancarlo Galan. E si elencano gli errori, quello fondativo di piazza San Babila, quando il Cavaliere si sporse dalla sua auto tedesca; e poi la litigata esiziale con Fini, la separazione cruenta (“perché dovevamo scegliere tra lui e La Russa”). E adesso la dibattuta linea della rottura con Monti. “Nel momento in cui ci siamo messi in casa An, An ci è esplosa nel salotto”. Così ieri più di qualcuno, nel Pdl, osservava con malcelato interesse un sondaggio che ha provocato sorrisi sornioni tra i deputati della ex FI. Il Pdl, senza An, si attesterebbe al 25 per cento dei consensi. “Se avessimo fatto una federazione con loro, la nostra sarebbe stata una somma algebrica positiva. Il partito unico è stata invece una somma negativa”, dice Sergio Pizzolante, deputato socialista. “Lo pensano tutti”, dice. Ancora i reduci di Gaber, dunque: “E tutto che saltava in aria / e c’era un senso di vittoria.

 

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Vince la linea della tregua: dal Pdl sponda col governo per fare le riforme strutturali

 

Proposta ai partiti: tavolo comune sulla legge elettorale. Alfano fa appello alle categorie sulle liberalizzazioni: “”Basta scioperare””. E Monti: le mie misure in continuità col Cav

del 28 gennaio 2012 di Adalberto Signore

 

Il vertice di giovedì sera a Palazzo Grazioli congela – almeno per le prossime settimane – i mal di pancia di chi dentro al Pdl vorrebbe tornare subito alle urne. Al punto che Alfano non si limita
a dire che il partito «sosterrà con convinzione le liberalizzazioni», ma arriva a rivolgere «un appello» affinché «le categorie interessate possano valutare l’ipotesi di sospendere gli scioperi». Molto più che una mano tesa al governo, visto che buona parte di quelle categorie pronte alla piazza rappresentano una fetta dell’elettorato del Pdl.

D’altra parte, durante il lungo faccia a faccia serale a via del Plebiscito, Berlusconi era stato piuttosto chiaro: «Sfilarsi adesso sarebbe da irresponsabili e incomprensibile sia agli occhi del Paese che della comunità internazionale». Se ne riparlerà fra qualche mese, dunque. Archiviato il decreto sulle liberalizzazioni e con un quadro d’insieme più chiaro. Con buona pace dei malpancisti per nulla convinti che la linea che il Cavaliere definisce della «responsabilità» alla fine pagherà. Lo certifica un «quasi» fuorionda del Tg3. A cui Corsaro, visto il microfono lontano, dice candidamente che «certo vorrebbe staccare la spina» al governo. E come il vicepresidente vicario dei deputati del Pdl a via dell’Umiltà la pensano in molti, soprattutto tra gli ex An a partire da La Russa.

La linea è però un’altra, condivisa anche da chi pensa che il Pdl non possa continuare in questo delicato equilibrio fino al 2013. Come diceva Cicchitto qualche giorno fa, «fra qualche mese tireremo le somme». Tradotto significa che si deciderà il da farsi tra marzo e aprile, prima che si chiuda la finestra per un eventuale voto anticipato. Per adesso nessuna novità in vista. Anzi, se c’è un cambio di marcia è verso e non contro il governo. Ecco perché l’appoggio di Alfano all’esecutivo è così forte da tradursi in un «appello» a non scioperare. Con Monti che intervistato dal Tg1 gioca di sponda, tanto da dire che «molte delle misure prese sono in continuità con il governo Berlusconi», con tanto di citazione per gli ex ministri Gelmini e Brunetta. Le stesse parole usate qualche ora prima da Alfano. «Le liberalizzazioni – dice il segretario del Pdl – si pongono in evidente continuità con il lavoro svolto dal governo Berlusconi». Difficile che la coincidenza sia casuale. E pure l’editoriale del Corriere della Sera di ieri (in cui il Cavaliere viene lodato per la sua scelta di responsabilità e definito «uno statista intero») lascia immaginare che il clima sia davvero quello della tregua. «Ci sono voluti esattamente 18 anni, ma anche il Corriere ha riconosciuto a Berlusconi il rango di statista. Il tempo è galantuomo», è il post di Alfano su Facebook.

A via dell’Umiltà, intanto, si sono aperti i tavoli di lavoro. In quello sulle liberalizzazioni è stato fissato un calendario d’incontri con le rappresentanze di tutti i settori produttivi, del commercio e delle professioni per «valutare insieme» eventuali modifiche al decreto che il Pdl proporrà in Parlamento. In quello sulla legge elettorale, invece, si è deciso di insistere sulla necessità di discutere le modifiche al sistema di voto insieme alle riforme istituzionali perché, dice il presidente dei senatori del Pdl Gasparri, «la riforma della Costituzione precede quella elettorale». «Chiederemo agli altri partiti d’incontrarsi- spiega il vicecapogruppo vicario al Senato Quagliariello – per valutare l’ipotesi di una mozione di indirizzo che indichi delle linee guida». Una mozione che dovrebbe mettere insieme Pdl, Pd e Terzo polo. E che in prospettiva rischia di allontanare ancora di più una Lega che – se l’esperienza Monti andrà avanti e si aprirà davvero il tavolo delle riforme – rimarrebbe fuori dalla stanza dopo si riscrive la legge elettorale. Non certo un dettaglio. 

 

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I disperati del  Pdl

del 27 gennaio 2012 di Emanuele Macaluso

 

La Russa e soci

L’intervista rilasciata ieri da Ignazio La Russa al nostro De Angelis rivela il profondo disagio in cui si trova la pattuglia degli ex An nel Pdl che sostiene il governo Monti. Un disagio che in più occasioni esplode in contrasti aperti con la componente ex Forza Italia che sul governo ha una posizione più equilibrata come risulta dalla linea che esprimono il segretario Alfano e il capogruppo alla Camera Cicchitto. Berlusconi ondeggia, ad alcuni promette elezioni a giugno ad altri nel 2013, ma non stacca la spina. Sostanzialmente La Russa e soci la pensano come Bossi, vorrebbero sbraitare come lui e rifarsi una maschera di oppositori. Le cose che va dicendo, sul Pdl penalizzato, che occorre un riequilibrio e deve attuarlo Monti, altrimenti la spina la stacca lo stesso presidente ecc., sono tutte chiacchiere per coprire una realtà ben più corposa che determina l’insofferenza degli ex An. E la realtà si chiama Fini, (il quale è rimasto presidente della Camera), e il suo partito, collocato nel “terzo polo”, come forza che nei fatti si identifica col governo. Insomma Fini, e i suoi, col governo Monti appaiono protagonisti del cambiamento e i La Russa, che con il Cavaliere si muovevano (goffamente) come padroni del governo, ora sono ridotti a peonas addetti a premere i bottoni per votare decisioni governative su cui non influiscono, né in un senso né nell’altro, anche perché è Alfano che tiene i rapporti con Monti.

Insomma, La Russa e soci pensavano di avere liquidato Fini e invece sono loro in liquidazione. Infatti, la rottura di Fini oggi si rivela fruttuosa, nel senso che ha aperto una prospettiva al Fil nel grande Centro. E il presidente della Camera, bene o male, resta uno dei leader della politica. I fedelissimi al Cavaliere, padroncini del Pdl, invece, sono destinati a sparire nel nulla. A
nche perché non sanno cosa farà in futuro Berlusconi e quale sarà l’approdo del Pdl dove, gli ex Dc e gli ex Psi, pensano di ricollocare il partito più al centro cercando un rapporto con Casini e con quel mondo che anche la Chiesa spinge verso il Centro: dove c’è anche l’odiato Fini.

Concludendo, osservo che il gruppetto degli ex An hanno capito di trovarsi in un labirinto dal quale non sanno come uscire e il tempo certo non lavora per loro. Disperati, chiedono elezioni subito come Bossi e come Di Pietro, ma la situazione non lo consente. Il Cavaliere continuerà ad ondeggiare, ma non staccherà la spina, anche perché pensa che la corrente può fulminarlo. Tutto qui.

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