C’è chi sostiene che la “festa” sia nata in ricordo dell’otto di marzo del 1908, un secolo fa, quando centoventinove operaie, in America, morirono nell’incendio della “Cotton”
Altri preferiscono fare riferimento all’otto marzo del 1848 quando le donne di New York scesero in piazza per avere il diritto di voto.
Mentre molto maschile afferma o sostiene che la donna si è sdoganata dalla sua sudditanza esiste anche un recente rapporto di Amnesty International che denuncia come un miliardo di donne nel mondo, ogni anno, siano picchiate, violentate, mutilate o assassinate da mariti, amanti, fidanzati, parenti, conoscenti o “amici” occasionali.
Non vogliamo perderci in un labirinto di polemiche , semplicemente Bice, coerente con la sua impostazione editoriale ben volentieri concede questo spazio in prima pagina alle donne che vorranno esprimere anche semplicemente dei loro pensieri: fatelo anche per divulgare e farci conoscere l’energia al femminile.
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Iniziamo con una conosciuta firma dei lettori di Bice:
04 marzo 2008
Scusi, quanto costa questa bambina?
Ho scelto di usare questa domanda, assurda e disumana, ma come titolo poteva starci anche Summum ius, summa iniuria,[1] comunque, perché, interpretando in senso lato il detto latino, l’applicazione rigorosa della legge può anche determinare una grande ingiustizia o causare un danno alla parte più debole, che invece di uscire avvantaggiata e protetta da una qualsiasi contesa, ne sarà vittima, in maggior misura .
Vado controcorrente, cercando, in una vicenda ai limiti dell’incredibile, almeno qualcosa di positivo. Spero soltanto di riuscire ad esprimermi senza essere fraintesa, perché, come tutte le persone civili, ovviamente condanno quanto è accaduto e lo trovo gravemente lesivo della dignità di un piccolo essere umano.
Parlo di un fatto della cronaca recente, il caso di una bimba non desiderata, fatta nascere per denaro, per interesse, per piccoli beni materiali.
Se vogliamo, non è stata nemmeno tanto esosa la neo mamma, rispetto al grande tesoro che cedeva, il cui prezzo era rappresentato da un’automobile nuova, un cellulare e appena mille euro in contanti…e poco altro.
Tutti naturalmente hanno dato addosso a questa ragazza che davvero ha avuto un comportamento innaturale e incomprensibile, nonché alla coppia che ha “acquistato” la neonata.
Ma, avvezzi dalla cronaca alle più intollerabili atrocità, consideriamo che qui, almeno, c’è la nascita di una bambina, il miracolo di una piccola vita salvata, non importa se per amore o per denaro.
Almeno questo, c’è.
E per quanto sia grave e ingiusto e al di fuori della Legge, ciò che la giovane mamma ha fatto non arriva mai, secondo me almeno, alla gravità di una scelta abortiva.
Se tutto fosse andato come previsto, se questo contratto ingiudicabile fosse stato perfezionato come era nelle intenzioni dei sottoscrittori, chiamiamoli così, la ragazza avrebbe ripreso la sua vita, forse non del tutto consapevole della gravità di quanto aveva fatto, molto colpevole , certo, ma colpevole di bassa avidità, di inesistente istinto materno e non di altro.
La coppia “acquirente”, senza figli, pur con un discutibile senso del Diritto, era certo animata di intenzioni buone e desiderosa di prendersi cura della piccina che avrebbe, nella lor
o casa, usufruito di molti agi, ma, cosa assai più importante, sarebbe stata la destinataria dell’amore e delle cure parentali più dolci, imparando giorno dopo giorno a riconoscere il sorriso e la voce di chi l’accudiva e che sarebbe stata la mamma per lei, non una che l’aveva comprata, e l’altro acquirente sarebbe stato solo il papà per lei.
Inorridisco scrivendo queste cose, ma cerco di scriverle con un certo distaccato pragmatismo.
In una vicenda come questa c’è l’infinita miseria della natura umana, ma è circoscritta all’avidità per i beni materiali, all’immaturità e alla leggerezza che sono all’origine di una gravidanza non voluta, all’esasperato desiderio di maternità e paternità che talvolta possiede e domina le coppie senza figli, spingendole a fare assurdità come queste, pur di realizzare il sogno di un figlio.
Poiché tutto ciò è contro la Legge, quando le indagini vanno a buon fine, i colpevoli vengono individuati, perseguiti, giudicati, forse puniti. ( Già, forse. Con la lentezza dei processi, ben tre gradi di giudizio, innumerevoli altre pecche, la situazione della nostra Giustizia non è brillante).
Ma quello che in questa vicenda mi ha fatto pensare al detto latino, è il fatto che la piccola ora sia stata affidata ai servizi sociali, a una struttura pubblica, nella quale sarà naturalmente curata al meglio, ma certo non da una sola persona né, è logico e comprensibile, con lo stesso amore di quella madre “acquirente”.
Come potrà la bambina realizzare quella caratteristica, innata della specie umana, a ricercare e a mantenere la vicinanza e il contatto alla figura di accudimento…la vicinanza e il contatto che in particolari situazioni sono indispensabili e insostituibili, cioè quando il neonato è impaurito, o ammalato, o affamato o semplicemente si sente solo ed è consolato e appagato dalla profonda sensazione di appartenere a qualcuno. Nel patrimonio genetico del neonato gli istinti primari come il succhiare, l’aggrapparsi al dito, il sorridere per conquistare l’attenzione, persino il pianto, si modulano nei primi mesi di vita nei confronti di una specifica figura materna, rappresentata non necessariamente dalla madre biologica. In assenza di tutto questo, il bambino soffre, cresce male, ha danni di vario tipo, talvolta definitivi.
Questi non sono retorici richiami all’amore materno, ma elementari dati scientifici.
Alla piccola protagonista di questa vicenda, messa al sicuro in un istituto, tutto questo mancherà. Speriamo soltanto che sia per un tempo molto breve e che in questa incredibile vicenda, almeno, non compaia la burocrazia, a ritardare con colpevoli lungaggini l’adozione, che sarà l’inizio di una vita finalmente normale e serena.
Maria
[1] Summum ius , summa iniuria. (Cfr. CICERONE, De off., 1, 10, 33). La giustizia quando eccede diventa ingiuria e malizia
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06 marzo 2008
La festa della donna
La festa della donna? A me questa festa piaceva molto quando ero ragazzina, nei famosi anni 70, quando di battaglie per ottenere il riconoscimento, quello vero, erano aperte. L’8 di Marzo non si andava a scuola, ci si vestiva di rosa e sulla giacca si appuntava la mitica mimosa gialla.
Poi, senza darsi un appuntamento ci si trovava a manifestare in via Emilia Centro; si ballava, si cantava e si urlava per far sentire la nostra presenza Le più “accese” avevano slogan che facevano diventare rosse noi più riservate, altre si mettevano addosso abiti stracciati e cappellacci e gridavano a squarcia gola “tremate tremate le streghe son tornate”…
Quella era la nostra festa; qualche ora di corteo(molto sentito) ed una minosa.
Ora, in questo tempo apparentemente vicino a quegli anni, tutto è cambiato, la festa non è più festa ma è una “cosa” non ben identificata votata al consumismo ed al degrado di costume.
Le donne però sono come le api; sempre e comunque indaffarate ed organizzate. Non si può abbassare la guardia, anzi forse per noi donne di oggi è più complicato che per le donne di ieri. Ci siamo scontrate con una società che cambia in continuazione, dove la quotidianità ormai sodata nei decenni è stata sconvolta da continue novità. E’ vero, abbiamo la lavatrice, l’aspirapolvere e la lavastoviglie ma, nonostante le modernità, che in teoria dovrebbe darci più tempo, ci scontriamo con nuovi problemi, con nuovi casi di vita quotidiana che prima non c’erano.Oggi ascoltavo la tv, è arrivato anche il kit per identificare se i nostri preziosi figli usano sostanze stupefacenti e questo si aggiunge già a dell’altro messo in preventivo per i prossimi giorni che verranno. Però, nonostante il carico di lavoro credo che l’altro 50% del mondo ovvero i “maschietti” sono cambiati in meglio. Nonostante le tante tentazioni e sollecitazioni sono molto più attenti alla famiglia e alla vita quotidiana di coppia. L’8 Marzo io sarò ricompensata, con la mitica mimosa, dalla persona che vive insieme a me e questo è il più bel riconoscimento che posso avere.
Emanuela
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Auguri alle donne
Quelle che tutti i giorni combattono con la vita quotidiana per fare quadrare la vita propria e quella di chi hanno vicino.
Quelle che non sbandierano a destra e a manca la propria “femminilità”, ma che la dimostrano nei fatti, nei gesti di ogni giorno che non sia solo l’8 marzo.
Donne che meritano rispetto e considerazione non solo l’8 marzo, ma anche gli altri giorni dell’anno. Magari tormentate, magari serene, ma donne senza bisogno di doverlo urlare in piazza “armate” di rametti puzzolenti di mimose e bandiere multicolore e multisimbolo che non hanno un vero significato. Simbolo di una fertilità spesso negata dalla vita di tutti i giorni o da uomini pavidi e crudeli oppure da eventi impensabili e imprevedibili.
Forse queste erano le donne che morirono quel lontano marzo 1908 in una fabbrica? Donne che per aiutare la propria famiglia a vivere un po’ meglio hanno sacrificato la propria vita.
Questo dovrebbero ricordare le femministe urlatrici di oggi, che sono tutte brave a scendere in piazza per sbandierare e per usare i megafoni a dar forza alla propria voce per dire il nulla che le muove, invece di sussurrare sottovoce quello che comunque nel silenzio assoluto sarà sempre un urlo.
Le donne urlatrici, mi dispiace se ve ne sono a leggere, ultimamente stanno avendo un effetto controproducente per il genere femminile: la signorilità e la classe distingue una vera donna da un essere sbraitante dei diritti e delle pretese che devono essere richiesti in modo più deciso e meno chiassoso, in modo vero da chi ne ha bisogno e non da “interessate in modo peloso per una propria visibilità”.
Praticamente uno spot elettorale per questa o quella parte, un testimonial politico, un simbolo perso nel mare delle ambigue presentazioni dei partiti che fanno finta di volere un certo numero di donne al proprio interno e poi… e poi si sa come va a finire.
Questo è l’8 marzo che si vive da qualche anno: una specie di festa tribale e non l’esaltazione della femminilità che vive ogni giorno delle difficoltà e cerca di affrontarle con il sorriso sulle labbra e magari un conforto per chi le sta vicino.
Comunque sia… tanti auguri !
Claudia
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8 MARZO: IL PRECARIATO È DONNA
Arriva l’8 marzo, e come sempre fioriranno insieme alle mimose, sulla stampa analisi su quante donne occupano posti di potere e ruoli rilevanti nella società, oppure sono candidate al Parlamento.
Non vorremmo però ci si dimenticasse di quelli che sono i ruoli
maggiormente ricoperti dalle donne che lavorano a Modena ed in Italia, e allora diamo i numeri:
– il 90% del settore del pulimento (550.000 addetti in Italia) è composto da donne;
– il 99% del lavoro domestico e di assistenza familiare (circa un milione di addette, tra cui 620.000 circa le cosiddette badanti) è composto da donne;
– nella grande distribuzione commerciale l’85% degli occupati (1.500.000 in Italia, 21.000 a Modena) è donna, ma ai livelli di inquadramento più bassi si supera il 95%. I gruppi dirigenti di quelle imprese, al contrario, sono esclusivamente composti da uomini.
Nelle nuove assunzioni si registra a Modena il dato più clamoroso, con 9 donne su 10 assunte con contratti diversi dal tempo indeterminato e pieno.
Nel settore dei servizi sono concentrate la maggior parte delle part-time presenti nel mercato del lavoro. Sono pressoché tutte donne che non hanno scelto il part-time, ma lo accettano come unica possibilità di lavoro.
Lo sviluppo del part-time, lungi dal permettere di conciliare lavoro e cura
della famiglia, si è trasformato nella grande distribuzione in un
quotidiano precariato di orario, diritti e salario. Orari comunicati a volte giorno per giorno, diritti ridotti, salario appeso alla disponibilità dell’azienda di concedere ore supplementari.
Nel piccolo commercio, nella ristorazione, nei pubblici esercizi alle donne non va meglio: lavoro nero ed irregolare, molestie e ricatti di ogni tipo.
La maternità, nelle aziende piccole e grandi, per una lavoratrice precaria, corrisponde quasi sempre al mancato rinnovo del contratto di lavoro.
Riportiamo il caso di una lavoratrice dell’ipermercato Conad E.Leclerc, assunta a termine per la prima volta all’inizio del 2003, e che da allora ha nella sua carriera lavorativa atteso con angoscia e speranza un eventuale conferma contrattuale per 10 volte, fra nuovi contratti e proroghe.
La lavoratrice prima del termine dell’ultimo contratto si è scoperta in attesa di un bambino, e alla naturale scadenza del contratto si è ritrovata disoccupata.
Le tutele previste per le lavoratrici madri non la riguardano più e non ci resta che un auspicio di un nuovo contratto.
L’8 marzo se c’è qualcosa da festeggiare, è la pazienza delle donne…
Coordinamento Donne FILCAMS CGIL Modena
Info: Stefania Ferrari 347.8715524
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