
Le stagioni ritornano ma noi le affrontiamo in un modo diverso, spesso con gente diversa e con obiettivi diversi. Beati noi che abbiamo vissuto gli autunni e che ancora, quando ci alziamo, guardiamo fuori dalla finestra per vedere il tempo e non affidandoci soltanto al cellulare.
Chissà se a scuola impareranno ancora a memoria una poesia sull’autunno, che è diventato il nuovo padrone della terra e del cielo. O forse no perché imparare a memoria pare a troppi un inutile esercizio e perché l’autunno è sempre di più soltanto una convenzione, un’annotazione da agenda. Il meteo rifiuta ancora l’autunno; più che piogge autunnali quando non sono tornadi e temporali sono piogge da caldo. Lo rifiutano i banchi di frutta e verdura dove c’è tutto e di tutto perché in qualche parte del mondo è primavera, in qualche altra è estate, in qualche altra è inverno (anche artificiale da congelatore) e allora frutta di stagione è solo un modo di dire.
Ignora l’autunno il nostro agire, i ritmi della città non conoscono né ore né giorni, con mattine, pomeriggi e notti artificiali, nessuna foglia da veder cadere, ma soltanto un impiccio da raccogliere.
Beati noi che abbiamo vissuto gli autunni e che ancora, quando ci alziamo, guardiamo fuori dalla finestra per vedere il tempo e non affidarci soltanto al cellulare; che ancora ci accorgiamo che la natura è cambiata e sta invecchiando ma nel crescere della sua ansia di riposo invernale ci regala colori e atmosfere speciali.
L’autunno è la stagione del ritorno a casa, della maturità piena, dei colori e dei profumi intensi. Soren Kierkegaard ha scritto “Preferisco di gran lunga l’autunno alla primavera, perché in autunno si guarda il cielo. In primavera la terra”. Io penso piuttosto che in primavera si scruti l’orizzonte, ma in autunno ci si guardi intorno e si cominci a interrogare preoccupati il cielo, dove stanno le risposte del nostro futuro, perché si avvertono le prime gelide folate dell’inverno.
Canto con Cardarelli: “Inclino adesso all’autunno / dal colore che inebria; / amo la stanca stagione / che ha già vendemmiato. / Niente più mi somiglia, / nulla più mi consola, / di quest’aria che odora / di mosto e di vino / di questo vecchio sole ottobrino / che splende nelle vigne saccheggiate”.
E’ la mia stagione l’autunno, la stagione della tarda maturità, nella quale i colori scoppiano violenti perché pieni di un intero anno di vita. Voglio l’autunno e vorrei anche la sua pioggerella fine e le prime nebbie; voglio un ristoro a questa estate troppo estate.
Voglio, anzi vorrei, ma prendo quel che viene, anche perché, in fondo, ogni anno a primavera la terra si risveglia e ogni anno riposa in inverno, ma ogni anno noi siamo cambiati, più vecchi nel corpo e, spero, più maturi nel cuore e nella ragione; così come sono diversi la nostra comunità e il mondo attorno a noi.
Le stagioni ritornano ma noi le affrontiamo in un modo diverso, spesso con gente diversa e con obiettivi diversi, anche se sono le stesse stagioni. Trasportare il passato nel presente è un tentativo inutile, come fu inutile la Restaurazione europea dopo la sconfitta napoleonica. Il passato può fare paura soltanto quando lo si trasforma in un fantasma opprimente; altrimenti è un maestro di vita e il ritorno di alcune condizioni, come le stagioni, costituiscono il metro di paragone per affrontare il presente e il futuro, non per risuscitare il passato.
Ogni stagione ha sue caratteristiche ed ogni stagione è diversa dalle altre, per cui ognuno di noi può avere una segreta preferenza perché gli piace il solleone estivo, o gli alberi fioriti, o i colori dell’autunno, o la calma di un paesaggio invernale ricoperto di neve; però non va in spiaggia con un costume di cotone anni Cinquanta e non va a cantare Maggio (quasi più) e non pesta l’uva in casa o non mette ai piedi gli sci di legno. Sperare che una stagione ritorni, sia essa culturale, politica, spirituale, naturale significa sperare che si ricreino alcune di quelle condizioni che, quando l’hai vissuta, ti erano piaciute, ma non per fare le stesse cose. Per farne altre. Innalzare un idolo al passato è sbagliato come cancellarlo completamente.
In fondo le stagioni, è vero, tornano, ma si assomigliano soltanto a quelle precedenti; sono comunque diverse, anche se noi le riconosciamo.

Una risposta
E finalmente arriva l’autunno
La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar
……omissis……..
E’ la prima strofa di una bellissima poesia di Carducci che per me è come un quadro d’autore , una sorta di descrizione splendidamente oleografica dell’autunno .
Non riesco a capire perché ai ragazzi di oggi interessa ben poco la poesia, presi come sono dal futile che viene somministrato in dosi massicce da media e social in qualsiasi ora del giorno attraverso i cellulari di ultima generazione di cui sono mere appendici
Ed è un vero peccato perché la poesia , quella vera di Carducci, Leopardi, Pascoli eccet, non necessariamente mandata a memoria, può ingentilire e sensibilizzare gli animi dei nostri ragazzi arrestando il processo di involuzione culturale ed etica, che porta al monadismo ed allo “stare contro” preconcetto .
E’ dai primi di settembre che mi farfuglia in testa la prima strofa della poesia San Martino, che è tra le rarissime poesie che sono riuscito a mandare a memoria perché abbastanza breve ed anche perché mi piaceva da morire.
Forse era una specie di evocazione inconscia di una stagione che amo da sempre sin da bambino in maniera viscerale.
Forse perché tardava a venire e non sopportavo più i disagi fisici e psicologici di un caldo asfissiante figlio dei maledettissimi anticicloni africani, che da decenni ormai ci assediano da giugno ad agosto e quest’anno anche a settembre , che sino a qualche giorno fa ci ha regalato giornate e notti caldissime non dissimili da quelle di luglio ed agosto.
Devo confessare che questa mattina appena alzato ( erano le 6,30 ) per la prima volta da maggio sono stato costretto a chiudere la finestra ubicata a fianco del mio ponte di comando , che è la scrivania su cui è poggiato il mio PC, perché faceva veramente freddo.
E’ da giugno che dormo a torso nudo ma questa mattina in fretta e furia ho indossato la giacca del pigiama.
Ed ho tratto un sospiro di sollievo perché ho pensato che una delle estati più torride di sempre stesse cedendo finalmente il passo all’agognato autunno , che ufficialmente non entra oggi ma dopodomani quando ci sarà l’equinozio settembrino.
Come è noto sono terrone di origine ma sono ormai oltre 30 anni che risiedo a Maranello , per ragioni professionali prima ed ora per scelta di vita, e posso dire che il caldo padano, specie quello degli ultimi decenni, è veramente infernale.
Quando ero al Sud il caldo estivo era attenuato dalla ventilazione, dalla brezza marina nelle aree costiere, e soprattutto dall’assenza di inquinamento derivante dai fumi industriali ,data la scarsa consistenza in quasi tutto il Sud, fatta eccezione per poche zone, di insediamenti produttivi.
Devo precisare inoltre che al Sud, tolta la prima infanzia e la giovinezza, sono stato residente in zone collinari o montane per ragioni di lavoro.
Il caldo vero , quello che ti toglie il respiro e persino la voglia di lavorare , l’ho trovato qui a Maranello.
Anno dopo anno da oltre 30 anni ormai il caldo estivo è stato sempre più infernale con notti insonni e disagi fisici a volte insopportabili.
E per questo , che ben venga l’autunno con il freschetto, con i suoi colori sfumati a rendere finalmente vivibile Maranello e dintorni.
Le foglie ingiallite che cadono mi ispirano non solo serenità ma anche felicità, pur nella consapevolezza che è passato un altro anno e che è sempre più voluminoso il fardello di anni che porto sul groppone a causa della mia ormai veneranda età.