Nel secolo scorso l’Italia funzionava così: ogni tanto avvenivano le crisi economiche, ma i governanti sapevano come superarle. Mediante manovre sui tassi di sconto o altro creavano una bella inflazione (del 10% od oltre), la lira si svalutava, le merci divenivano più convenienti per l’estero, gli stranieri le comperavano e da noi continuava il miracolo economico. Naturalmente con l’inflazione anche i prezzi interni salivano e i lavoratori protestavano. Nessuna preoccupazione: i rappresentanti degli industriali e dei sindacati si trovavano, si mettevano d’accordo, poi il grande giorno facevano la sceneggiata: le tv documentavano le strenue lotte che duravano fino alle tre di notte per concordare quello che era già stato concordato; ritraevano tavoli come campi di battaglia, coperti di tazzine e bicchieri di plastica vuoti, bottiglie d’acqua e montagne di mozziconi. I rappresentanti delle due parti erano ritratti con fonde occhiaie, con le cravatte “a mezz’asta” e la camicia appiccicata per il sudore e tutta stropicciata. Il risultato era un accordo sull’aumento dei salari (per altro sempre inferiore al tasso di inflazione). Così i lavoratori erano contenti e anche gli industriali per l’aumento delle esportazioni. Si costruivano nuovi capannoni industriali, gli operai si facevano la casa e l’Italia restava fra le prime nazioni del mondo.
Poi arrivò Prodi promettendo che avremmo lavorato un giorno di meno e guadagnato come se avessimo lavorato un giorno di più. Ci rifilò l’euro, pari a circa un DM, ad un cambio assolutamente irreale e severamente penalizzante (1936,27) . Non disse che ci avevano messo addosso una camicia di Nesso, che non solo non ci lasciava muovere, ma che si stringeva sempre più ogni volta che cercavamo di muoverci.
Siamo così arrivati ad oggi, in cui gli ex industriali se non si suicidano scoperchiano i capannoni vuoti per non pagarne le tasse o fuggono in altri paesi e gli operai il loro appartamentino, sogno di ogni italiano, lo vedono col binocolo. Come porre rimedio?
C’era stato qualcuno che aveva detto che l’euro è una porcheria. Il premio Nobel Milton Friedman aveva previsto che avrebbe richiesto la svalutazione interna, bloccando qualsiasi altra possibilità, per cui si sarebbero presi provvedimenti dolorosi come la riduzione di salari e pensioni. Grecia docet.
James Tobin, altro Nobel, concordava sul fatto che le vecchie variazioni del tasso di sconto avrebbero causato meno dolore economico delle riduzioni salariali previste.
Paul Krugman, altro Nobel, ritiene che l’euro sia un disastro, poiché infliggere infelicità agli uomini non dovrebbe essere considerato un obiettivo desiderabile per la politica. Per completare il poker di Nobel citiamo Joe Stiglitz, per il quale l’euro è stato un errore disastroso e ha scritto un libro sull’argomento evidenziandone tutti gli aspetti negativi.
Rimedio al disastro euro?
L’uscita, al costo di lacrime e sangue, ma con la possibilità di ripresa futura. Altrimenti si procederebbe nel disastro che per Ettore Gotti Tedeschi vedrebbe un “futuro terrificante” e ciò comunque in attesa di un prevedibile crollo del sistema euro -prima è meglio è- insieme al sistema che lo ha creato: la stessa UE.