Credo che i toni usati in questa campagna referendaria abbiano superato tutti i limiti della decenza e del buon gusto ma, soprattutto, della serietà, che chi sceglie di fare politica ha nei confronti dell’elettore, ma anche semplicemente del cittadino su cui poi ricade il suo operato politico. Apro una parentesi: solo nel referendum del 2 giugno1946, quando gli italiani andarono a votare fra Monarchia e Repubblica ci si ricorda di un clima così infuocato fra le parti contendenti.
Ci furono dei morti, in maggioranza (anzi, la quasi totalità) fra i monarchici. Sia prima del voto, sia dopo. All’epoca si udivano frasi sibilline e avvertimenti del tipo – La Repubblica o il caos -. Con il senno del poi, abbiamo avuto tutti e due. Mai come in questo periodo la nostra nazione sta passando un momento di disordine, in tutti i campi. Tornando a questa tornata elettorale referendaria , da cui ho preso ampiamente le distanze (lasciando alle altre ottime firme del nostro settimanale il compito di illustrare le ragioni del sì e del no), mi limito solo a dire che non è da persone civili e democratiche insultare pesantemente coloro che vogliono votare in un modo e presentano il leader avversario con una metafora che riporta a una fase sanguinolenta. Il lettore avrà già capito a chi mi riferisco e che non voglio neanche nominare perché non vale la pena di fargli pubblicità gratuita. Né a lui, né al suo movimento. Certo, se con gli insulti e le metafore e i compagni di quartierino, o meglio della rete, si potessero risolvere i problemi dell’Italia, Roma e Torino, sarebbero già a metà del percorso. Invece, ancora niente. Le cronache riportano la sempre più invivibilità nella capitale con la cronica incapacità di essere svuotata dai rifiuti e sempre più piena di zone franche dove rom e richiedenti asilo (veri e presunti) fanno il bello e cattivo tempo senza che si trovi una soluzione. Ma, se a Roma si piange, a Torino non si ride.
In quella che fu la prima capitale del Regno d’Italia, la novella sindaca perpetua le politiche del suo predecessore. Ovvero, lasciare i cittadini, di una zona ben definita, sotto scacco da parte di spacciatori, clandestini e centri sociali. Tornando al referendum, l’unica cosa che si può dire che la frase – Il nemico del mio nemico è mio amico – calza a pennello. Sembra che il fronte del no, più che guardare al fatto che la riforma sia giusta o sbagliata, faccia la guerra al Premier attuale.
Concludo domandandomi se effettivamente si sia cercata una soluzione condivisa da tutte le parti o se su tutto questo ci sia stata la solita formula del bastian contrario, nel termine più ampio della parola, per dire no alla riforma. Di contraltare, c’è forse un po’ di superbia da parte del premier Matteo Renzi, che dice più o meno: – O passa il sì, o me ne vado a casa -. Cosa dire, caro Renzi? Non ti andrà poi così male.
C’è chi invece, come quel gran signore di Umbeto II, per un referendum perso è stato costretto ad andare in esilio per tutta la vita.
E, anche da morto!