Via del Cane
Profumi ed armonie di Bologna.
Girava per la città da diversi giorni e cercava un posto dove potersi rifugiare. Quel casolare vuoto gli sembrava sicuro, ma aveva paura ad entrare.
Iniziò a nevicare. All’improvviso si sentì mancare per la fame e per la sete ed imboccare le scale verso il ventre del seminterrato, gli costò un’enorme fatica. In fondo alla cantina trovò un materasso sfilacciato. Ci volle un istante per cadere in un profondo sonno.
Stava per morire congelato senza accorgersene. All’alba si svegliò senza riuscire a muoversi e chiuse gli occhi affinché la morte lo cogliesse nel sonno.
Lo svegliò un improvviso filo d’aria tiepida.
In quel buio e in quel silenzio si trattenne per diversi giorni.
Per placcare la sete leccava un filo d’acqua che scendeva lungo la parete. A volte riusciva a cacciare qualche topo o uccello assiderato.
Usciva solo per andare a fare i bisogni, ma poi tornava di corsa alla sua tana.
Fuori era un’ora qualsiasi, quando decise di incamminarsi verso la vita. Sentiva la brezza di primavera, umida e sapida di mille odori.
L’aria polverosa gli irritava i polmoni. Gli odori più delicati sembravano taglienti al suo naso disabituato all’aperto.
Si trascinava con fatica lungo i muri. Ad un tratto l’aveva colto una fulminea paura perché si era reso conto di non emanare più l’odore umano, cioè, “” profumino”” che la mammina gli spargeva addosso ogni volta che stavano per uscire.
Allora gli sembrò di puzzare in modo assolutamente ripugnante, ma non poté ribellarsi.
Adesso, tra tutti quei profumi che lo circondavano, si sentiva fuori luogo. Per giunta non aveva né collare né guinzaglio. Non aveva mai girato da solo per la città.
Non sapeva dove andare. A casa sua non voleva rientrare per paura di essere catturato da quelli uomini violenti che portavano il fetore del luogo da cui venivano. Luogo in cui gli facevano punture e infilavano qualcosa sotto la coda o nelle orecchie.
Inoltre la propria casa non aveva nessun significato senza la presenza della mammina. Quando la trasportarono fuori, tutta immobile e senza alcun odore, non la seguì. Quel corpo privo del suo incomparabile profumo non rappresentava più nulla per lui.
Del periodo vissuto insieme gli rimasero solo i ricordi.
Finalmente calò la notte.
Nessun odore umano o rumore di macchine disturbavano la quiete. Cauto e guardingo si dilettava ad assaporare, libero, la sua città.
Da ora in poi passava il suo tempo a vagabondare e alla ricerca di qualcosa da mangiare. Non aveva bisogno di vedere nulla. L’odore lo conduceva nei posti giusti.
Scivolava verso i vicoli cosparsi di sterco di piccioni. Dai portoni coglieva ingordamente l’aroma di sughi e di fritti. Aspirava con piacere i vapori di feci umani che uscivano dai tombini ed esaminava accuratamente l’orina sugli angoli. Non esitava, ovviamente, a tracciare anche lui il territorio. Con la mammina poteva unicamente sniffare di sfuggita tutte queste meraviglie, gli calava la bava solo a sentirle da lontano. Gli era anche severamente proibito alzare la gamba.
Sono arrivate le calure. Le roventi strade sapevano di piacevoli escrementi di ratti e di altri cani. Non mancavano gustose essenze provenienti dai cassonetti della spazzatura. Quando trovava i sacchetti rotti, recuperava, sotto lo sciame di mosche, avanzi di pasta, interiora e teste di pesci, qualche osso. Mai in vita sua aveva assaggiato simili delizie.
Una mattina, il vento gli portò qualcosa di familiare. Un effluvio, un brusio appena avvertibili. Dilatò le narici, alzò le orecchie. Non riusciva a scoprire la direzione da cui venivano.
Per inseguire questa traccia, dovette immergersi tra la folla e nei rumori assordanti del centro. Talvolta si fermava per poter annusare e udire meglio. L’esalazioni delle macchine, pur soffocanti, gli davano sicurezza. Capiva di essere sulla strada giusta.
Capitavano spesso in quel posto, che la mammina chiamava “”mercato””. Legato sul retro, immerso nella sinfonia di fragranze incredibilmente appetitose, non gli dispiaceva ad aspettarla.
Adesso li stessi odori calavano su di lui puri e ben distinti. La stessa calca scorreva in uno strascicare incessante di piedi, in un chiacchiericcio spezzato dalle risa e dalle grida.
Era inebriato e colmo del sentimento di felicità come un figlio che ritornava a trovare la sua adorata mammina. Si ricordava, sparsi per terra, gli avanzi avariati di carne con sangue appena rappreso, i pezzi del grasso di prosciutto, le bucce di salami e di formaggi. Allora non poteva toccarli, ma adesso diventavano la fonte del suo nutrimento. Non mancavano inoltre gli scarti di frutta e verdura, di solito marci, ma con la fame che aveva, non disdegnava qualche carotina o qualche frutto ancora freschi.
Doveva stare molto attento però, poteva essere scambiato per un cane randagio e venire spietatamente cacciato. A volte beccava un calcio o una bastonata.
Talvolta si rifugiava in un parco vicino. Aveva capito, che il modo più sicuro per stare in pace era fare finta di appartenere a qualcuno.
Così scelse una persona che quasi tutti i giorni raggiungeva una panchina isolata. Gli piaceva molto quell’uomo, gli inspirava fiducia. Si muoveva lentamente, i suoi vestiti erano impregnati di sapori di dolci, non gridava mai.
Si stendeva quindi ai suoi piedi e dormiva tranquillo.
Una volta sentì una botta. Schiacciato sotto il peso del suo presunto padrone che evidentemente era inciampato su di lui. Lo vide alzarsi con fatica. Scrutò la sua faccia cercando segni d’ira. Al posto degli occhi trovò due fessure stranamente inclinate e immobili. Cominciò ad annusarle ed accade una cosa insolita. Venne annusato anche lui. Sentì le mani dell’uomo palparlo con insistenza, infine … le carezze. Non si mosse.
Le frasi sussurrate con voce calda e rassicurante, portarono alla sua mente quelle della mammina.
Da quel giorno divennero inseparabili.
Adesso a passeggiare per le vie di Bologna si vede una strana coppia: un cane di media taglia e un cieco, due anime in un’intesa perfetta che si sfiorano appena … non si capisce bene chi conduce chi. Il loro odore si fonde con i sapori della strada in una fragranza armoniosa.
Mentre sulla solita panchina gustano insieme la merenda, affondano gli sguardi dentro i propri desideri.
Di tanto in tanto si sente il mormorio del loro compiacimento.