Pavarotti e l’isola felice

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Le sacrosante commemorazioni di un grande Modenese e la realtà di ogni giorno.

Pavarotti è morto, gloria a Pavarotti.

Perché è stato uno dei Modenesi che maggiormente hanno contribuito a dare lustro e popolarità alla nostra città e alla nostra nazione nel mondo intero.

Perché era un uomo con una voce straordinaria, perché era un uomo di quelli fattisi in gran parte da sé, con quella severità nei propri confronti e quella monomaniacale tenacia propria dei grandi che la fortuna non disdegna mai di accompagnare.

Pavarotti è morto, onore a Pavarotti.

Perché era un uomo semplice, con pregi e debolezze, come ognuno di noi.

Perché era un uomo.

Da indigeno verace, anch’io voglio ricordarlo, poiché mi inorgogliva prendere coscienza che un americano o un giapponese conoscessero Modena perché gli accostavano il suo nome, oltre a quello di Enzo Ferrari.

Ma senza chiasso, e solo ora che le bande e i cori si sono zittiti, solo dopo che i riflettori delle TV si sono spenti sui funerali in pompa magna, allorquando, tra gente affamata di gossip, affettazione e commozione sono stati ipocritamente sprecati in quantità, spesso proprio da coloro che erano stati i suoi più grandi denigratori.

Solo ora che la vita ha ripreso il suo corso normale dopo la morte, che gli atei si sono rammentati di essere atei e i detrattori di essere detrattori, proprio mentre dopo tante celebrazioni già si ciancia delle vicissitudini legate alla sua milionaria eredità.

E proprio per questo, proprio perché non ho mai scritto una riga all’epoca dei suoi trascorsi giudiziari, proprio perché non ho partecipato ne’ intendo partecipare ad orge scandalistiche, mi sento in diritto di domandargli, se fosse possibile, se, da Modenese di umili origini, si sente per davvero onorato da cotante commemorazioni.

Vorrei chiedergli, in dialetto, cosa ne pensa di tutti quei soldi spesi in sua memoria quando tanti suoi concittadini ogni giorno devono fare i conti con condizioni di vivibilità assai precarie per mancanza – dicono proprio coloro che oggi non sanno nemmeno quantificare le spese per il suo funerale – di fondi; cosa di quello spiegamento di forze dell’ordine per commemorare la sua morte, quando la sua Modena, la Modena dei vivi in cui sempre ha voluto fare ritorno, di sera può contare solo su due scalcinate volanti della Polizia, su un altro paio di gazzelle e su qualche agente di Polizia Municipale che a una cert’ora va a dormire.

Ma non posso, e così mi piace immaginare che mi risponderebbe anche lui in dialetto, con quel suo bonario sorriso di sempre, che, pur lusingato da tanto onore, Modena non è affatto quell’isola felice che in giro si pensa che sia e la cui immagine le riprese TV hanno contribuito a dare una volta di più a tutto il mondo.

Pavarotti è morto.

Adío, Pavarot.

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