E’ ormai evidente come quello tra Occidente e Islam sia un dialogo estremamente complesso. Dialogo che l’ostinazione dell’Iran nel volersi dotare della bomba nucleare non facilita e reso ancor più problematico dalla tiepidezza con la quale l’Europa difende la propria identità e la propria storia. Un’Europa – direbbe la grande e indimenticata Oriana Fallaci – costantemente e progressivamente decisa ad abbandonare le proprie radici cristiane e che sempre più si sta mettendo nelle condizioni di trasformarsi in una “”dhimmitudine””, sopraffatta com’è da utopie pacifiste filoislamiche e cattocomuniste, anticristiane e antisemite, in netta contrapposizione alla Chiesa, agli Usa e a Israele.
E’ un contesto sociale, politico e culturale quello in cui viviamo dove il mantenimento della pace è legato ad un sottilissimo filo di speranza; un contesto dove si nutre profonda preoccupazione e apprensione per le sorti dell’unico Stato democratico presente in una terra di feroci e violente dittature. Lo Stato, ovviamente, è quello di Israele: dovesse soccombere sotto i colpi dei fanatici islamici i rischi per tutti noi sarebbero davvero incalcolabili. In una recente intervista, rilasciata ad un quotidiano italiano, Ehud Barak, ministro della difesa israeliano, ha lasciato intendere chiaramente qual è la vera posta in gioco in Medio Oriente: «Il messaggio di Teheran dimostra che il regime è determinato a sfidare tutto il mondo, a ingannare e rinviare. Il loro obiettivo è ottenere il nucleare militare, pensarla diversamente è un’illusione. L’Iran con l’atomica è una minaccia all’ordine mondiale. […] E in ogni caso dobbiamo lasciare qualunque opzione aperta» anche quella militare che sta divenendo concreta ipotesi a causa delle continue minacce che gli provengono dal Libano, in mano a Hezbollah che minaccia lo Stato Ebraico con lancio di missili allo scopo di distogliere l’attenzione dai piani iraniani, e dall’Iran.
Le parole pronunciate da Barak indicano chiaramente due questioni fondamentali. La prima è che la diplomazia serve solo quando l’interlocutore è ragionevole o comunque il suo obbiettivo minimo è qualcosa di accettabile. Quando l’obbiettivo minimo, quello per cui è disposto a qualsiasi sacrificio, è qualcosa di inaccettabile, allora la diplomazia serve a poco. La seconda ha a che fare con una domanda molto semplice: perché mai a chi si getta contro dei grattacieli con un aereo, a chi si fa esplodere dentro treni o autobus affollati, a chi corre sui campi minati perché chi corre dietro di lui possa arrivare alla trincea nemica, dovrebbe essere consentito di mettere le mani sulla bomba atomica? Se c’è gente che non ha paura di morire o di vedere i suoi cari vaporizzati, figuriamoci se può aver paura di mentire. Questa è gente che fa orrore e proprio perché fa orrore bisogna attuare ogni sforzo affinché non si metta nelle condizioni di nuocere al mondo.
Questa incapacità di leggere la realtà per quello che è, o far finta che essa sia diversa da come si presenta, fu denunciata da Solzenicyn, già trent’anni fa, nello storico discorso che pronunciò all’Università di Harvard, quando affermò che il “ declino del coraggio è nell’Occidente d’oggi forse ciò che più colpisce uno sguardo straniero. Il coraggio civico ha disertato non solo il mondo occidentale nel suo insieme, ma anche ognuno dei paesi che lo compongono, ognuno dei suoi governi, ognuno dei suoi partiti, nonché, beninteso, l’Organizzazione delle nazioni unite. Questo declino del coraggio è particolarmente avvertibile nello strato dirigente e nello strato intellettuale dominante, e da qui deriva l’impressione che il coraggio abbia disertato la società nel suo insieme. […] C’è bisogno di ricordare che il declino del coraggio è stato sempre considerato, sin dai tempi antichi, il segno precorritore della fine? ”
Come se ne esce allora da questa situazione? Se vogliamo evitare un olocausto prossimo venturo è necessario aver chiaro che il compito che oggi viene richiesto a tutti noi, in particolare a tutti coloro che si definiscono cristiani, è quello di educare chi s’incontra ad amare la vita più di quanto si possa amare la morte. In tal senso una nuova e più convinta azione evangelizzatrice, rivolta soprattutto agli islamici, è quanto mai auspicabile.