
sappia risolvere anche un solo problema. Davvero non impareremo mai e, quel che
imparammo con la Seconda guerra mondiale, già lo abbiamo dimenticato?
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“Il 4 novembre l’Italia ricorda l’Armistizio di Villa Giusti – entrato in vigore il 4 novembre 1918 – che consentì agli italiani di portare a compimento il processo di unificazione nazionale iniziato in epoca risorgimentale. In questa giornata si intende ricordare, in special modo, tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi”. Così ha scritto il Ministero della Difesa nei giorni scorsi.
Quand’ero bambino oggi festeggiavamo la vittoria nella prima guerra mondiale, ma quale vittoria poteva esservi in un conflitto che costò all’Italia oltre 600.000 morti, a Fiorano più di ottanta, un’intera generazione nel piccolo borgo d’allora e credo quasi nessuno fosse partito da volontario.
Poi si scelse di sottolinearne la ‘Giornata delle forze armate’, quale forza per la pace.
Giusto ricordare le vittime, martiri per forza di poteri più grandi di loro; giusto sottolineare che le forze armate devono servire come forze di pace, ma non illudiamoci: non c’è vittoria che porga la chioma, ma soltanto dolore, rovina, sfacelo. Figuriamoci la sconfitta.
L’Italia si ritrovò nel 1918 con gli stessi problemi che aveva nel 1915, acuiti e alimentati da odi profondi; più divisa di prima. Oggi sappiamo come non risolse uno solo dei motivi per i quali la guerra era scoppiata, tanto da pretendere un nuovo massacro mondiale vent’anni dopo. Non risolse i problemi territoriali, non quelli economici e le troppe disparità sociali; non risolse e non mediò le grandi ideologie in rotta di collisione. Nel nome della patria e del Risorgimento da portare a compimento, su tutto si gettò una coltre di patriottismo, come la cenere sulle braci, che continuarono a bruciare per divampare nuovamente a pace conquistata, portando l’Italia e poi l’Europa al fascismo e al nazismo.
La guerra si era conclusa vittoriosamente sul campo, ma sconfitta nei sogni di giustizia, come annotava il giornalista Paolo Monelli: “D’un colpo, tutto è crollato. Attoniti udiamo il frastuono del nuovo mondo, or che si è fatto silenzio in noi, e il cuore è gonfio di echi irrevocabili”. “Terminata la battaglia, accorrono da ogni parte i corvi ingordi e gli sciacalli pavidi e gli scarafaggi filosofi che si tennero in disparte e dicono: Basta, la parentesi è chiusa, cerchiamo di trarre il minor male possibile da questa guerra, ripigliamo le regole di prima, peccato che ci avete guastato tante istituzioni e lasciato tanti debiti, beh, speriamo di rimetterci bene in piedi, per vivere adesso si fa così e così, partenza e rotaie e stazioni e caselli fissati lungo la linea”. “Che cosa hai fatto di buono? Hai vinto la guerra ed
il pane cresce di prezzo e lo zucchero scompare e il carbone non viene e la Dalmazia non ce la danno. Fesso, valeva la pena che facessi il fesso su per la prima linea”
… E noi, cent’anni dopo, ancora qui ad illuderci che una guerra, una qualsiasi guerra, sappia risolvere anche un solo problema. Davvero non impareremo mai e, quel che imparammo con la seconda guerra mondiale, già lo abbiamo dimenticato?
Ieri, davanti ai monumenti ai caduti e nelle piazze italiane abbiamo celebrato la necessità della pace affinché i caduti siano stati gli ultimi a vedere la loro vita spezzata per il gioco della guerra, che arricchisce pochi e rovina tutti.