Sanno, i miei cinque lettori, che non è mio costume rispondere o intervenire nei commenti, non tanto per arrogante supponenza derivata dal titolo nobiliare, quanto per un semplice concetto di ordine utilitaristico: se il commento è intelligente, l’autore è meritevole di avere il palcoscenico tutto per sé. Se non lo è, perché sprecare tempo inutilmente? In questo disgraziato Paese gli sciocchi e gli sconsiderati hanno già a disposizione una quantità smisurata di megafoni: perché offrirne uno in più? Cui prodest?
Quindi, mi limiterò a qualche considerazione in scioltezza, senza un tema delineato.
Per inciso, “cui prodest” non significa “Prodi è qui”, come tradurrebbe quell’acculturato Signore che è convinto che il liceo classico abbia arrecato “ immensi danni alla nostra provincialissima cultura”[1], bensì semplicemente “a chi (o a che) giova?”. Si tranquillizzi dunque l’estimatore della kültüra propalata dal Cominform[2]: il Genio di Scandiano questa volta non c’entra.
“Cui prodest” era lo squittio di battaglia che l’intellighentija parasovietica nostrana strombazzava ogniqualvolta veniva perpetrato un attentato, una scelleratezza, un delitto, insomma una di quelle eroiche azioni che il terrorismo rosso, figlio primogenito dell’ideologia marxista, eseguiva e firmava. Il ritornello era sempre il medesimo e si fondava su un ragionamento di altissimo profilo intellettivo: «l’azione, firmata B.R., (o P.O., A.O., L.C.[3], etc. etc.), è stata commessa per infangare la purezza del socialcomunismo. Cui prodest? Agli altri. Quindi l’hanno commessa gli altri.»
E tutti in coro muggivano.
Fra costoro albergava sicuramente anche la sapiente giornalista [4] dal lungimirante acume: conosce il latino la Signora! Nel suo articolo compare un bel: “lupus in fabula”.
A proposito di intellighentija parasovietica nostrana: è tragicamente comico (apprezzerà l’acculturato Signore l’ardito ossimoro?) ritrovare il solito trito schema di attacco di coloro che si ostinano a sostenere l’insostenibile.
Prima regola: è necessario demolire l’avversario con qualsiasi mezzo, per cui ciò che egli dice o scrive è inevitabilmente “trombonesco ed apocalittico” oppure lo si trova “decisamente patetico”, “pedante”, quando non si afferma addirittura che non ha “nulla di serio da dire”. L’ipocrisia deve per forza essere “pretesca”; l’Italia tutta, quando non è marxista o paracomunista, scade ridicolmente al rango di “Italietta” o di “Repubblica delle banane”: quest’oggi berlusconiana, tempo addietro morotea o fanfaniana o degasperiana. Quanto al linguaggio, beh certamente l’Italietta clericale non può che essere affetta da “provincialismo linguistico”.
Il comico consiste anche nel fatto che la grande giornalista, invece, “argomenta”.
Seconda regola: non deve mai succedere, ma se succedesse che l’odiato avversario riesce a muovere ed a portare in piazza svariate centinaia di migliaia di
persone (forse oltre un milione) per far sentire la propria voce di dissenso, occorre utilizzare tutte le grancasse di cui si dispone per svuotare l’evento del suo contenuto e significato. O ricorrendo al vittimismo, o minimizzandolo, o ridicolizzandolo. Il popolo deve essere e stare solo con
Siamo alla farsa.
Terza regola: persistere nel diffondere una cultura di finta plastica, fondata, da un lato, sull’interpretazione e sulla lettura volutamente falsa, mistificata, strabica sia della Storia sia, ovviamente, dell’attualità, dall’altro su una pseudo-letteratura impostaci da un sistema editoriale e mediatico ancora, ahimè, totalmente in mani loro. Di codesti “letterati” e delle loro “opere” fra qualche lustro nessuno dirà o ricorderà nulla, per il semplice motivo che costoro sono poco più del nulla ed esprimono il nulla; tuttavia, per ora, la loro vana pochezza incombe in ogni dove.
E la Scienza? Per quanto incredibile possa apparire, anche in questo campo, ove la Ragione dovrebbe imperare sovrana, le loro Signorie sono riuscite ad accreditare personaggi che si fregiano del titolo di scienziati, e che in realtà sono semplicemente volgari gabbamondo, imbonitori di piazza, frittellai propalatori di pseudo-teorie indimostrate ed indimostrabili, quindi scientificamente inesistenti. Se non fossi certo di annoiarvi mortalmente vi narrerei, a titolo di esempio, delle lezioni di logica che un tizio [5] impartisce ai suoi disgraziati allievi: costui, pur di provarsi a smantellare le fondamenta filosofiche dell’odiato Cristianesimo, cerca di sostenere e di smerciare la tesi che ben più importante di Aristotele fu Crisippo [6] .
Tesi risibile più che comica.
Quanto alle arti figurative ed alla musica, basta osservare e ascoltare: il giudizio viene da sé.
L’aspetto tragico è che codesti Signori, che dibattono, argomentano, pontificano e pretendono di insegnare, ancora non si sono accorti che il loro pensiero è drammaticamente debole (quando non assolutamente vacuo) ed inesorabilmente standardizzato, banale, scontato.
Non si sono accorti che il loro ideologismo, la favoletta cupa e odiosa di Karl
Ormai solo l’élite dei più intelligenti rimane abbarbicata alla favoletta cupa e odiosa del
Non si sono accorti che lo straordinario
Non si sono accorti che continuare a nascondere o mistificare le verità della Storia o dell’attualità, insolentire o demonizzare l’avversario, cicalare le solite frasette fatte con lo stampino, non ha rilevanza alcuna, non serve più di tanto. Anzi non serve a nulla. È solo noiosamente, tristemente ridicolo.
Quanto alla granitica sicumera che contraddistingue il pontificare di codesti giganti del pensiero, accade talvolta che escano dalle righe e, presi dalla loro foga anticlericale (una delle tante foghe antiqualcosa che li rode), finiscano incautamente con il fare affermazioni insolenti e generalizzate, offensive proprio in quanto generalizzate. Le generalizzazioni (ai tempi della mia scolarità lo sapevano anche i ragazzini delle medie) sono sempre sbagliate. Sono alla base, ad esempio, delle pulsioni razziste, ma questo è un altro discorso.
Se poi la generalizzazione si associa ad una solenne, conclamata ignoranza della materia o dell’organismo che si vuol colpire, nella fattispecie le parrocchie e, indirettamente, il Cattolicesimo, si scivola d’ala e, per usare un’espressione elegante, si finisce nella melma. Dietrich Bonhoeffer [8] diceva che con gli intelligenti e informati che sono critici si può discutere, ma con gli ignoranti nulla possono nemmeno gli dei.
Occorre talora convincersi che l’idea di essere depositari della verità ideologica, storica e culturale e di possedere la conoscenza assoluta di tutto è, quasi sempre, fuori dalla realtà, sconfina sopra le caviglie e ammanta di ridicolo.
Ne supra crepidam sutor iudicaret [9] .
Non me ne vogliano i calzolai e non me ne voglia quell’acculturato Signore che è convinto che il liceo classico abbia arrecato “ immensi danni alla nostra provincialissima cultura”.
Io appartengo a quella triste schiera che a suo tempo frequentò quell’infelice scuola ove si studiavano materie tanto dannose e inutili, tuttavia debbo ammettere che non me ne pento.
Porti pazienza dunque l’acculturato Signore. Se continua a leggermi sopporti le menzioni e, se crede e lo desidera, si cerchi da solo la traduzione dell’odiata massima latina.
[1] Da
Caro Seneca, se vuole che la gente la giudichi sapendo chi davvero è, non ha che da firmarsi con il suo nome e cognome, per una volta evitando di ricordarci, con le sue massime latine, gli immensi danni che il liceo classico ha arrecato alla nostra provincialissima cultura .
[2]
[3] Brigate Rosse, Potere Operaio, Avanguardia Operaia, Lotta Continua, solo per citarne alcune.
[4] Natalia Aspesi. V. articolo: “I soliti quarantaquattro gatti” – Da
[5] Odifreddi prof. Piergiorgio
[6] Nato: 281-
[7] Politìchesckij Bjurò: Ufficio politico
[8] Teologo protestante tedesco del secolo scorso.
[9] Pl. 35, 36 – 85 Val