Mal comune mezzo gaudio. Oppure no?

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Alberto Venturi

 

“”Mal comune mezzo gaudio””

In economia non si dividono i guai a metà, ma li paga il più debole e perciò non possiamo godere delle disgrazie tedesche. In Germania la crisi è continente, legata in particolare alla situazione russa ed ucraina, la nostra è strutturale.

 

Nutro molti dubbi che la crisi della Germania rappresenti per l’Italia il proverbiale mezzo gaudio. Nell’Europa unita dei mercati le difficoltà di uno si riverberano immediatamente sugli altri, in misura direttamente proporzionale alla loro debolezza, scaricandole quindi su nazioni già con l’acqua alla gola; o almeno così, mi hanno insegnato, recita la norma basilare del nostro sistema economico.

La crisi tedesca è determinata in particolare dalla situazione dell’Ucraina e dalla frenata dell’export verso Mosca; sono situazioni contingenti, mentre la crisi italiana è strutturale in un sistema-paese che non regge. Corruzione, illegalità, inefficienze, privilegi di casta, corporativismi costituiscono un peso eccessivo da sopportare per mantenere competitivo il ‘Made in Italy’, che pure il resta un brand inimitabile.

Saranno necessari, anche intraprendendo la giusta strada, tempi molto lunghi, il contrario di quello che annuncia Renzi nel suo ottimismo preconfezionato e comunque bisogna sapere intraprendere la giusta via (quando possibile). La flessibilità è stata confusa con la precarietà; il taglio delle spese applicato a pioggia ha obbligato gli enti locali ad aumentare tasse, rette e tariffe; la gente è costretta a lavorare più anni impedendo il ricambio generazionale; gli investimenti supportano opere, ma non modificano cultura, processi e sistemi, pur costituendo un sostegno nell’immediato. Le ‘piccole opere segnalate dai sindaci’, l’alta velocità Napoli-Bari, la ferrovia Palermo-Messina, la linea C della metro di Roma, il passante ferroviario di Torino, la metrotramvia di Firenze, la metro di Napoli, gli investimenti per gli aeroporti di interesse nazionale, le proroghe alle concessionarie autostradali che si impegnano a investire, non portano l’Italia a creare un nuovo sistema-paese, ma soltanto a rendere un po’ meno inefficiente quello già esistente.

Che mezzo gaudio può venirci dalla crisi tedesca? Un po’ di esportazione in meno, un po’ di concorrenza sui prezzi in più. I problemi sono nostri e solo nostri. Se invece riteniamo che la crisi possa spingere la Merkel a modificare la politica finanziaria, allentando i vincoli, compiamo l’errore di credere che una maggiore libertà porterà automaticamente frutti. Se non imbocchiamo la strada giusta, diventerà soltanto la libertà di incrementare il debito, portare un po’ più avanti i problemi e allontanarci ancora di più dalla media delle altre nazioni europee.

TESTO 1

Gianni  Galeotti
 

 

FRENA L’ECONOMIA TEDESCA: MAL COMUNE MEZZO GAUDIO? 

In un Europa a trazione economica tedesca dove l’Italia è da un lato succube della politica d’oltralpe e dall’altro determinante per le sorti del continente, non bisogna essere un guru della finanza per capire e prevedere che le difficoltà della Germania si ripercuoteranno per forza di cose, e negativamente, su paesi come l’Italia. I dati sull’andamento del Prodotto interno lordo tedesco nel secondo trimestre dell’anno che hanno segnato, per la prima volta, un bilancio negativo, vanno in parallelo con quelli estremamente ed altrettanto preoccupanti di un Italia in deflazione, con la spesa pubblica in aumento e con PIL ed occupazione ancora in picchiata in una spirale recessiva senza precedenti e che nemmeno le nuove e mirabolanti promesse di Renzi potranno offuscare. 

Se consideriamo che tutto ciò si inserisce nel contesto delle sanzioni anti-Russia, condivise dall’Italia, che rischiano di penalizzare più l’Europa e l’Italia stessa, più che l’impero di Putin, allora non c’è di che stare tranquilli. Anche perché non sembra ci sia alcuna intenzione, né da parte della Germania, ne della stessa UE, di cambiare il registro della politica del solo rigore che ha portato al soffocamento delle economie dei Paesi del vecchio continente, primo fra tutti l’Italia. Nessuna ammissione di responsabilità, nessuna riflessione sul fatto che se a circa sei anni dall’inizio della crisi l’America ne è uscita con una crescita della propria economia oscillante tra il 2 e il 3%, in Europa si parla solo di stagnazione o di recessione, forse un motivo c’è. Invece no. Né da parte dei burocrati né dai politici europei, che dettano legge in campo economico e che oggi scrivono i compiti al nominato Renzi, così come ieri li scrivevano ai nominati Monti e Letta, nemmeno uno straccio di prospettiva di cambiamento. E’ questo che preoccupa maggiormente: la mancanza di una ricetta e di una prospettiva diversa rispetto a quella che ci ha portato a questo punto. Se oggi la Germania condivide, anche se in termini molto inferiori, le difficoltà dei paesi partner, difficilmente sarà disponibile a condividere la necessità di allentare la presa sul fronte del rigore. La politica economica europea a trazione tedesca continuerà (e la posizione della cancelliera Merkel l’hanno più volte confermato), ad essere quella che è stata. Probabilmente la Germania si accorgerà che nell’Unione monetaria il sacrificio dei Paesi come l’Italia comporterà prima o poi non la salvezza ma il soffocamento della stessa Germania, quando forse sarà troppo tardi. In questi giorni, oltre ai dati sulla deflazione italiana, mi hanno colpito quelli relativi ad altri effetti più o meno ‘collaterali’ delle politiche di austerità e dell’aumento della tassazione. Un combinato disposto che ha distrutto negli anni della crisi, il 20% del mercato domestico. Un cortocircuito mortale non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa. Per la Germania è come tagliare il ramo sul quale si è seduti. La crisi del mercato interno è una malattia grave che doveva essere curata rilanciando la domanda interna, ovvero esattamente il contrario di quanto l’Europa e le politica di perenne austerità, ci hanno obbligato a fare. Purtroppo, in Italia, oltre alla crisi della domanda interna, perdura da troppi anni la crisi della politica interna. Dal 2011, da quando l’ultimo governo eletto democraticamente dal popolo sovrano è stato spodestato dall’Europa (su cui pesa l
‘ombra del complotto politico) con l’avvallo del Presidente Napolitano, abbiamo avuto una passerella di Premier e di governi di nominati, da Monti a Renzi, scelti e legittimati a tavolino anche (o soprattutto) perchè accumunati da una garanzia: non disturbare il manovratore europeo e tedesco. Che piaccia o meno, continuiamo ad avere governi deboli che continuano a chinare il capo di fronte agli ordini ed alle imposizioni di Bruxelles e della Germania, responsabili di una politica economica che i dati confermano essere fallimentare. Questa è la realtà. Per questo è difficile pensare che la sceneggiatura possa cambiare, almeno fino a che non cambieranno i protagonisti della scena. E nemmeno il mal comune mezzo gaudio può, in questo caso, farci sentire meglio.

 
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