In tempi brevi
Chi più avversa l’immigrazione è da sempre
Due premesse. Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla «integrabilità» dell’islamico. Secondo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall’esperienza. La domanda è allora se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorporazione eticopolitica (nei valori del sistema politico), in società non islamiche. La risposta è sconfortante: no.
Il caso esemplare è l’India, dove le armate di Allah si affacciarono agli inizi del 1500, insediarono l’impero dei Moghul, e per due secoli dominarono l’intero Paese. Si avverta: gli indiani «indigeni» sono buddisti e quindi paciosi, pacifici; e la maggioranza è indù, e cioè politeista capace di accogliere nel suo pantheon di divinità persino un Maometto. Eppure quando gli inglesi abbandonarono l’India dovettero inventare il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesistenza in cagnesco finissero in un mare di sangue. Conosco, s’intende, anche altri casi e varianti: dalla Indonesia alla Turchia. Tutti casi che rivelano un ritorno a una maggiore islamizzazione, e non (come si sperava almeno per
Veniamo all’Europa. Inghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritrovano con una terza generazione di giovani islamici più infervorati e incattiviti che mai. Il fatto sorprende perché cinesi, giapponesi, indiani, si accasano senza problemi nell’Occidente pur mantenendo le loro rispettive identità culturali e religiose. Ma – ecco la differenza – l’Islam non è una religione domestica; è invece un invasivo monoteismo teocratico che dopo un lungo ristagno si è risvegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo «italianizzandolo » è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare.
Giovanni Sartori [1].
Corriere della Sera 20 dicembre 2009
http://www.corriere.it/editoriali/09_dicembre_20/sartori_2eb47d0ced3e11de9ea500144f02aabc.shtml
Non resisto alla tentazione di assimilarmi al “tattico” e il mio dire sarà asciutto: nessun commento, perché si commenta da sé.
Mi auguro tuttavia di non essere così “asciutto” da non farmi capire da chi vorrebbe.