L’Ocm Europea, questa sconosciuta, che ha ridotto drasticamente la produzione italiana di zucchero, colpisce principalmente la nostra regione, dal momento che quì si coltivava il 60% della produzione nazionale di barbabietola da zucchero. Gli impianti saccariferi in regione sono stati massacrati: chiusi sei dei nove esistenti. La trasferta in Europa nuoce al nazionalismo dei nostri parlamentari chiamati a Bruxelles: con l’ex Ministro Alemanno in testa si sono arresi al piano NO-SUGAR-FROM-ITALY dopo una debole resistenza. Una riduzione così ampia di produzione non era mai stata presa neppure in esame dal nostro piano bieticolo nazionale, eppure l’abbiamo accettata come giudizio di divinità economiche superiori. Viene da pensare che il dubbio circolante attualmente in Europa sia fondato: non siamo più un paese da gruppo dei G7, nè dei G8. Siamo in Gi-nocchio. Certo, grandi pacche sulla schiena a garanzia che gli impianti saranno convertiti per la produzione di energia sostenibile, come se sostituire la coltivazione di barbabietole con quella di biomasse e piante oleaginose fosse di per sé una garanzia di guadagno per gli agricoltori e per tutta la filiera. La verità è che la patata, pardon, la barbabietola bollente è rimasta in mano ai soliti sindacati di settore che si sono battuti in questi giorni chiedendo al ministro delle politiche agricole, De Castro, il rispetto degli impegni presi a salvaguardia dell’occupazione e il rinnovo della cassa integrazione straordinaria per tutti i lavoratori della filiera che non rientrano nella legge 223, e per le migliaia di stagionali: è lo Stato, assieme alla Regione, ad essere chiamato a sostenere economicamente i piani poliennali di sviluppo di produzioni agricole no-food. E’ il ritorno alle politiche di salvataggio in perdita, di cui la GEPI è stata per anni l’esecutore nazionale. Abbiamo perso un business e dobbiamo pure pagare in denaro e posti di lavoro! E pensare che fior di economisti mondiali prevedono che lo zucchero sarà, in un futuro prossimo, il nuovo oro bianco. Intanto i progetti di riconversione industriale degli zuccherifici si arenano nel mare di difficoltà tecniche e di mercato; finora l’unico destinato, nella nostra regione, a partire sembra essere quello dell’Eridania a Russi di Ravenna. Ma l’interrogativo, ancora irrisolto, è sempre quello economico-energetico: il gioco vale la candela? Perchè la conversione di energia solare in biomasse ai fini energetici è un processo poco efficiente. L’attuale produttività agricola dipende dai combustibili fossili, e il petrolio è necessario per ottenere l’azoto reattivo richiesto per la produzione di fertilizzanti, nonchè per muovere le macchine agricole, per la distillazione e la lavorazione del prodotto oleoso finale e per trasportarlo infine al conbustore. Lo stesso vale per la biomassa: quello che sfugge agli esperti della Coldiretti è il concetto di “”Energia Netta””, ovvero la resa del prodotto ottenuto meno la spesa per ottenerlo, compresa quella delle nuove tecnologie atte alla produzione dell’energia medesima. Per produrre etanolo è necessario spendere tra il 30% e il 50% in più dell’energia ricavata, per il biodisel è del 25% in più se si parte dalla soia, e ben il 120% in più se si parte dal girasole. Senza aiuti UE nessuna di queste fonti vegetali alternative potrà mai essere competitiva e creare quindi energia a buon mercato. La nostra agricoltura ha bisogno di supporti reali per quegli agricoltori coraggiosi che intendono dare l’assalto al mercato globale, non delle trite politiche protezioniste che incontrano i consensi delle corporazioni di agricoltori sempre meno efficienti. Ma una politica ideologica e oscurantista, in totale asservimento a quella europea, ci sta riconducendo al Medioevo agricolo.