Cara Sanaa,
ha letto di te nei giornali; ho sentito per tv della tua orrenda fine: ragazza marocchina uccisa dal padre
Come avvocato incontro spesso donne che la nostra società non sa proteggere adeguatamente o non sa ancora tutelare pienamente: Donne maltrattate, oppresse, spaventate, umiliate. Addirittura donne uccise da padri, da fratelli, da mariti, da fidanzati, da pretendenti, e a volte anche dai figli. Ma ciò nonostante non è l’avvocato che ti vuole idealmente scrivere!
Ho una figlia che ha la tua età, eppure questa non vuole essere nemmeno la lettera di una madre.
C’è un altro motivo che mi spinge a scriverti.
Innanzi tutto vorrei capire perché in Italia una donna viene uccisa ogni due giorni,
Vorrei sapere perché noi donne siamo ancora sotto tiro; perché non abbiamo il diritto a una nostra vita indipendente nel senso di non subalterna, di una esistenza non ridotta ad essere solo un appendice del genere maschile.
Sto cercando una spiegazione seria del perché, in questo nostro amato paese, non siamo ancora in grado, donne e uomini insieme, di costruire una società basata sul rispetto reciproco e non sul potere, la prevaricazione, il dominio. sulla nostra pretesa sudditanza.
Tu Saana sei morta per mano di tuo padre, uomo armato da altra e per noi incomprensibile, feroce, sorda cultura.
Un padre che diviene protagonista di inammissibili violenze, che si fanno scudo di discutibili personali convinzioni religiose, trasmesse per secoli, come sacra eredità da non disperdere; noi, ovviamente non riusciamo a capire che razza di padre possa mai essere, a prescindere…
Anche su queste, vere o presunte certezze, convinzioni islamiche non mi vorrei soffermare più di tanto.
Trattasi di certezze non figlie della ragione, ma di convinzioni religiose molto flebili, se non fossero protette o difese da un deteriore fanatismo.
Un dogmatismo che evidentemente dentro di te, cara Saana non albergava.
Infatti queste convinzioni relative, non hanno saputo reggere di fronte all’aria di salubre libertà che hai potuto intravedere tra le strade della nostra bella Italia.
Così nel breve lasso di tempo rappresentato dal sopraggiungere dei tuoi freschi anni verdi, sembra che ti sia innamorata. Pare che volessi vivere questo sentimento normalmente, all’italiana: questo era un tuo desiderio e sono fermamente convinta che si trattasse anche di un tuo diritto: certamente non di una tua colpa!.
Un diritto, un bene prezioso che, proprio perché dovrebbe essere patrimonio universale, noi italiani per primi, dobbiamo sapere garantire a chi soggiorna nella nostra terra.
Carissima Saana ti scrivo dunque perché, anche se in estremo ritardo, ti voglio chiedere scusa!
Ti chiedo scusa per questo mio paese, che pure è disposto a sacrificare dei suoi valorosi giovani per garantire il rispetto della persona e il valore della libertà nella lontanissima Kabul, ma che, in casa propria, non è ancora in grado di garantire questo indice di superiore civiltà a tutti in uguale misura.
Ti chiedo scusa per questo mio paese per questa sua incapacità di sapere garantire a tutte le donne le sue conclamate e convinte conquiste civili.
Carissima Saana, leggo da molte parti che sei stata una vittima del fanatismo islamico, anche se tu non sei stata uccisa in un paese islamico, ma nel nostro bel paese, che ha dimostrato ancora una volta la sua incapacità nel garantire il diritto di poter fruire della loro individualità anche alle diciottenni immigrate che volessero assaporare quella libertà invece negata nei loro paesi di origine.
Credo che, per non far morire altre Sanaa, ma anche altre Maria, Alessandra, Rosa, Paola, Piera… dobbiamo cambiare e sanare questa nostra insana impotenza che soffriamo tutt’ora qui in l’Italia.
Perché se donna è vita, questo diritto di vita deve valere anche per una ragazza diciottenne.
Una vita che dobbiamo garantire, tutelare e se del caso proteggere e difendere anche se trattasi di una giovane immigrata marocchina, il giorno in cui decidesse, volesse, amasse vestire, respirare, camminare e pensare all’italiana.
Così penso e così credo sia giusto fare.