Lettera aperta al presidente dell’Ordine dei medici

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In Italia meno di un terzo di coloro che si iscrivono raggiungono la laurea e non per ragioni legate ai test. Ovviamente non nascondo le oggettive difficoltà dei primi due anni, con migliaia di iscritti, ma non si può scaricare sugli studenti e le famiglie l’incapacità dello Stato di garantire il diritto costituzionale allo studio.

 


 “Egregio Dott. Anelli,

ho letto la Sua posizione sui test di ingresso di Medicina e visto l’importante ruolo da Lei svolto, mi permetto di inviarle  alcune riflessioni. Ho 60 anni e, laureatomi in Giurisprudenza dopo gli studi classici ho intrapreso la professione, ma rimanendo quasi sempre all’estero. Nella mia scuola, almeno la metà dei miei compagni si è laureata in Medicina. Oggi sono Primari, Aiuti o brillanti medici liberi professionisti.

 

Ai miei tempi per un iscritto a Medicina era possibile entrare in ospedale e vedere un malato non prima del terzo anno, causa il sovraffolamento di cui Lei paventa la possibilità in assenza di tests, con la conseguenza, apodittica, di scarso livello professionale conseguibile. Quanto sopra vale a smentire quanto Lei afferma, che non può che essere visto come il sopravvivere di logiche criptocorporative o, peggio, mercantili.

 

Considero la professione di Medico e di Giudice le uniche “missioni” che, essendo di “ultima istanza”, richiedono soprattutto un profonda levatura morale e un’etica di servizio che altri “mestieri” non richiedono o richiedono in misura non così rilevante.

 

Gli amici medici mi confermano quanto sopra e il loro risultato professionale è la prova provata dell’inconsistenza dell’approccio “a test”, oggi in crisi anche nel mondo anglosassone.

 

Il termine “Universitas” esprime un concetto di cultura “aperta e accessibile” a coloro che vogliono costruire se stessi culturalmente, per il bene proprio e della Comunità. Gli Statuti della Sorbona, di Bologna, di Padova, mai e poi mai introducono un modello ad excludendum ma, al contrario, aprono il mondo della Cultura a tutti.

In Italia meno di un terzo di coloro che si iscrivono raggiungono la laurea e non per ragioni legate ai tests. Ovviamente non nascondo le oggettive difficoltà dei primi due anni, con migliaia di iscritti, ma non si può scaricare sugli studenti e le famiglie l’incapacità dello Stato di garantire il diritto costituzionale allo studio.

 

Il primo anno di Giurispudenza – siamo nel 1976 – vedeva Facoltà come Bologna e Milano con migliaia di iscritti all’esame di Diritto Privato. Difficoltà grandi per Docenti e Studenti ma, molti di loro, oggi sono laureati: senza ridicoli tests di ingresso.

 

 

Mi sia permesso il “ridicoli”: “il primo marito di M.Monroe” o “i radianti” (questi ultimi assolutamente esclusi da qualunque corso di Matematica nei Licei Classici) sono ridicole richieste di conoscenze – disomogenee – specifiche che, oltre a non selezionare niente, sono solo la prova dell’inefficienza del Sistema nel suo complesso.

 

La ringrazio per l’attenzione. E se si sta chiedendo se io sono padre di una figlia che, molto brava, non ha superato, l’ultimo test, le rispondo affermativamente. Tuttavia la soluzione c’è: andare all’estero e creare così quella disparità contro cui abbiamo lottato in gioventù tra quelli che possono permetterselo e gli altri.

Last but not least: lei ha superato i tests per diventare medico? Oppure, si è cimentato sugli stessi? Io non passerei.

I miei migliori saluti.”

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