L’eterno dilemma

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Lo facciamo a fin di bene.

Noi adulti non perdiamo occasione, davvero, per dimostrare alle giovani generazioni il nostro cinismo e la nostra propensione per l’immanente, inteso come materialismo, piuttosto che per il trascendente, non in senso confessionale, ma inteso come idealismo, motore delle scelte umane e ragione delle stesse.

Talvolta mascheriamo con la razionalità le nostre idee, in particolare quando consigliamo, o cerchiamo comunque di indirizzare le scelte universitarie, quindi professionali, dei nostri figli, verso settori che  diano sbocchi lavorativi, incuranti  delle loro passioni e  capacità, nonché  dei loro sogni.

A nostra parziale scusante, possiamo pensare che tutto ciò  sia, appunto, fatto a fin di bene.

Purtroppo è nostra prerogativa, forse anche nostro dovere,  far loro aprire gli occhi sulla realtà, che è meno poetica, meno rosea, meno facile e meno attraente  di quanto appaia …

Il “saggio padre di famiglia” normalmente compie questo doloroso  esercizio topiario, a fin di bene, sforbiciando  e adattando l’alberello rigoglioso, ma incolto e “inutile”,  dei sogni e dei desideri filiali, a forme acconce, più utili e pratiche, che  permettano ai figli di apprendere professioni e lavori che consentano,almeno,  l’indipendenza economica, se non la loro  realizzazione umana, giudicata, forse, di secondaria importanza.

E  un compito assai difficile, forse il più difficile, nell’arduo,  eppure meraviglioso e insostituibile,  ruolo di genitore.

Cercare di coniugare tutto quello che si è sempre insegnato ai propri figli, sul privilegiare l’essere rispetto all’avere, sull’ infinita potenza del pensiero umano rispetto all’azione, sul diritto di ciascuno a realizzare i propri sogni…con opposti concetti, altrettanto validi,  come  la necessità del guadagno, la sicurezza di trovare lavoro, lo spauracchio della disoccupazione intellettuale…è  un’impresa davvero ardua.

 Nemmeno prendo in considerazione coloro i quali, con una sorta di amara libidine, bocciano nelle scelte filiali  tutto ciò che non è utile, che non è pratico, che non è vantaggioso in termini economici, che non rende insomma… in qualche caso cercando di pareggiare i conti con le personali frustrazioni, quando, nell’adolescenza e giovinezza,  furono loro imposte, chissà,  le stesse rinunce.

Costoro  sono  genitori che abdicano al loro compito, che è quello di formare delle persone serene ed  equilibrate, aiutando  la personalità dei figli a sbocciare e consolidarsi, e non quella di creare esseri umani sfiduciati, realisti e cinici, vecchi  dentro, prima che anagraficamente.

Tornando al “saggio padre di famiglia”, ai suoi consigli e alle scelte di vita dei figli, che cosa è davvero giusto?

Scegliere qualcosa di utile, piuttosto che qualcosa di bello, qualcosa di redditizio, piuttosto che qualcosa di buono, qualcosa che dia un tornaconto tangibile e non un immateriale prestigio, relegando i desideri e i sogni alla sfera  più intima, ignorandoli e sopprimendoli,  talvolta  rinunciando ad essi  per sempre?

Oppure  inseguire le proprie inclinazioni e i propri sogni, pagando in qualche caso  lo scotto dell’incertezza economica, delle maggiori difficoltà nel trovare lavoro, forse della precarietà materiale…a beneficio  però della pace con sé stessi, della realizzazione umana, della irrinunciabile ricerca della felicità?

A tutto questo ciascuno di noi ha diritto, e forse sono le sole cose per le quali valga la pena vivere.

Mi rendo conto che queste sono tutte cose delle quali,  è ampiamente dimostrato, si parla più facilmente a stomaco pieno, con un tetto sulla testa e le membra al caldo… lo ammetto con una certa beffarda irritazione verso me stessa, perché sto scivolando, inconsapevolmente, verso una forma personale di socialismo, che auspico grandemente, un socialismo, o come lo si voglia chiamare,  che veda garantita a ciascun cittadino non solo la  soddisfazione dei bisogni primari, con un reddito che non sia solo “dignitoso”, parola insultante e meschina, rapportata alle valutazioni stratosferiche di certe nullità privilegiate, nel mondo della politica, dello spettacolo, dello sport…Ma  un reddito che permetta anche il piacere di qualcosa di sovranamente superfluo, il piacere del bello, il tempo libero per vivere veramente… un po’ liberi dagli affanni materiali, pensando infine anche a sé stessi…

 E, allora, se avessero ragione gli altri, coloro che, incuranti dei saggi consigli, dimentichi  del precariato, delle difficoltà, degli sbocchi lavorativi scarsi o quasi nulli…decidono di studiare Lettere Antiche,o Storia,  o Filosofia…o si ostinano ad approfondire la conoscenza di  Shakespeare, o Kant, o Hitchcock, o Greta Garbo, o Rachmaninoff o Beethoven…o trovano più interessante la Scenografia   piuttosto che l’Economia, la Musica piuttosto della Geometria…o giudicano più attraente insegnare, facendo la fame, piuttosto che
ingrassare facendo il dentista…

Anzi,  dati gli studi, tutti   “perdenti e inutili” che ho elencato, tutti questi laureati faranno, in ogni caso. un po’ la fame…ma con qualche sogno, almeno, realizzato.

Se poi sia utile, serva a qualcosa…resta da stabilire.

Il dilemma eterno  resta insoluto.

Però, se si è disposti a pagare una  bella  sovrattassa, si può aspettare fino a dicembre per scegliere la facoltà università, decidendo, in quel modo della propria vita.

O almeno dell’aspetto pratico della propria  vita.

 

 

 

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