
Roba da ricchi o perlomeno per persone o famiglie benestanti; quelle in montagna, poi, un bagno di sangue
Come ho già avuto occasione di scrivere, non siamo, come nazione, in una situazione da stare allegri. Spesso, guardando le trasmissioni televisive, mi sembra di vivere in un mondo irreale. Fino a poche settimane fa i conduttori televisivi, con toni entusiastici, annunciavano un’estate da favola: spiagge piene, file interminabili sotto il sole di persone in adorazione davanti alle bellezze del bel paese, tant’è che qualcuno pensa, e lo fa, di incidere il suo nome su un qualche monumento o di portare via una pietra. Per fortuna pochi, altrimenti del Colosseo non ci sarebbe più niente. L’ho fatto anch’io, sì, alle Foibe di Basovizza. Mi sono allontanato e fra gli alberi che circondano il monumento a ricordo degli italiani infoibati dai comunisti titini, ho raccolto un sasso e me lo sono portato a casa. Io, non dimentico.
Andiamo avanti.
Ho lasciato per l’ultima la montagna, perché è la mia meta preferita per le cosiddette vacanze lunghe estive. Dal 1970 bazzico la stessa area del trentino che va da Pinzolo fino alla Val di Sole, luogo in cui, negli ultimi ventisette anni ho trovato pace. Perché cambiare? Semmai è cambiata la clientela. Sì, perché lo sappiamo tutti che le vacanze in mezzo all’aria pura, con passeggiate per tutte le età fuori dal caos quotidiano ha un prezzo maggiore. Tuttavia, secondo il mio modesto parere, ne vale la pena, anche se devo ammettere che nel corso di questi ultimi quindici anni c’è stata una continua flessione verso il basso di presenze. Infatti, un’operatrice del settore alberghiero mi ha confessato a denti stretti che persino a Campiglio stanno registrando un calo del quaranta percento. Tuttavia, dopo tanti anni non avevo mai visto una mancanza di persone così importante in questo periodo, e stiamo parlando di fine luglio. Giovani, zero. Una volta si vedevano coppie di ragazzi che alla mattina partivano, zaino in spalle e pranzo al sacco, o si fermavano in rifugio per gustare polenta e funghi o formaggio alla piastra. Ora, in rifugio trovi anche le trenette al pesto!
Poi, c’erano le famiglie allargate: i nonni che badavano ai nipotini mentre le mamme si riposavano a prendere il sole leggendo un libro in attesa del venerdì, quando arrivava il marito che era rimasto in città lavorare. E anche i nonni non vedevano l’ora dell’arrivo dei papà, per avere un po’ di riposo!
Infine, c’erano i miei preferiti. Gli scalatori della domenica. Di solito erano impiegati dell’amministrazione statale, persone che per undici mesi all’anno stavano seduti dietro una scrivania a posizionare e riposizionare la pratica del momento. Non avevano ancora disfatto le valige, che erano davanti al bureau a chiedere la mappa dei sentieri per fare la loro prima passeggiata. Qui, si potevano ascoltare proposte ardite che persino una guida alpina esperta avrebbe sconsigliato. La partenza pareva tranquilla, in funivia, poi iniziava il sentiero e qui cominciava il delirio. Infatti, non ci si limitava a seguirlo, ma si facevano le varianti decise la sera prima. Così, una comoda passeggiata, diciamo di tre ore, diventava un percorso sparso che avrebbe fatto la gioia di un sergente istruttore dei marines con le reclute il primo giorno dell’arrivo al corpo. Cambiando continuamente sentieri, alla ricerca di laghetti vari, entrando nel bosco, dove la temperatura scendeva, gli arditi escursionisti si ritrovavano in una pietraia sotto un sole in cui si potevano cuocere due uova in pochi secondi. Naturalmente, nessuno di loro si era portato una crema protettiva e gli effetti erano visibili alla sera al rientro in albergo quando sembravano tutti dei San Marzano in maturazione, oltre all’irrigidimento muscolare mal celato. Tuttavia, il bello era alla mattina quando, entrando in sala colazione, ci si rendeva conto che il pomodoro era completamente maturato durante la notte. Mancavano solo i volontari dell’Ordine di Malta. Sì, proprio quelli che accompagnano gli invalidi ai santuari e la scena era perfetta. Subito dopo, iniziava la processione al banco del ricevimento per farsi indicare dove fosse la farmacia più vicina per acquistare una pomata contro le vesciche o un antidolorifico per il dolore alla caviglia. Per quelli messi peggio, anche un medico che curasse una distorsione.
Gli abitanti del posto lo avevano capito e così si erano attrezzati. Infatti, attualmente, ci sono più ortopedici nei paesini trentini, che nel reparto di ortopedia al Rizzoli di Bologna. I farmacisti, invece, fanno affari d’oro vendendo quintali di pomate. Che bei tempi, quelli!
Spero di avervi fatto un po’ sorridere. Buone ferie.