Le comunità e i partiti

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La distanza tra comunità e partiti riguarda la partecipazione alla politica attiva. All’ultima tornata elettorale si è registrata una grande differenza fra il risultato delle europee e quello delle comunali. La distanza tra comunità e partiti riguarda anche la differenza tra il consenso nazionale e quello locale. 

 


 La discrepanza dei risultati dei partiti vincitori alle   elezioni europee rispetto alle comunali segnala un   aspetto che dovrebbe far passare notti insonni ad ogni   leader di partito. Laddove viene meno il concetto di   comunità politica a vantaggio di una gestione del partito   in chiave leaderista, i voti sul territorio sono slegati e   contraddicono il consenso nazionale. Berlusconi, che ha sempre gestito il partito ad personam, in vent’anni è riuscito ad insegnare agli attuali 40enni al potere che oggi si può ottenere il consenso senza avere il popolo alle spalle. Lo sviluppo della tecnologia, e della propaganda massmediatica attraverso i social ha fatto il resto. Oggi ci si misura sui like, sulle interazioni, sui trends topic. Il camper elettorale lascia spazio alle campagne Facebook targettizzate. 
La disintermediazione sociale, che passa sopratutto dalla distruzione delle comunità-partito e delle associazioni di categoria, è un disegno preciso di chi vuole ridurci a schiavi dei poteri forti. Meno comunità più individui. Questa è la regola. A tale disegno non sono immuni nemmeno i partiti dell’area sovranista. 
La distanza tra comunità e partiti riguarda la partecipazione alla politica attiva. All’ultima tornata elettorale si è registrata una grande differenza fra il risultato delle europee e quello delle comunali. La distanza tra comunità e partiti riguarda anche la differenza tra il consenso nazionale e quello locale. Molti elettori, per esempio, hanno votato Lega alle Europee, ma non nei comuni. Perché? 
Perché è chiaro che un conto è il consenso del leader, non a caso i simboli dei partiti portano il nome del capo, un altro è il consenso del partito sul territorio che deve fare i conti con le logiche che non rispondono facilmente al sentiment creato ad arte sui social. Nei paesi vince ancora chi sa entrare in contatto fisico con la gente. Ed è proprio questo che deve preoccupare chi comanda i partiti oggi: avremo mai più dei partiti che sviluppano pensiero, elaborano soluzioni, creano comunità? Ci dovremo abituare ad un elettorato che, orfano di alti ideali in cui credere, farà pollice verso a leader prima osannati e poi consumati nel tempo di una stagione?

 

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