
le corone d’alloro delle lauree, il rosso dei fiocchi festosi sul cancello di casa, il rosso dell’auto
di Riccardo. Purtroppo, anche il rosso del suo sangue. Incidente o gesto volontario, forse non
si saprà mai. Una tragedia dietro la quale, ci sono le tenebre della solitudine, il timore di deludere le aspettative e i sogni dei genitori. Per il poeta Khalil Gibran i genitori sono l’arco e i figli le frecce…
Ai figli cui si può dare la vita, ma non i sogni e le idee.
Un tragico incidente, un’uscita fuori strada autonoma, uno dei tanti drammi che insanguinano le nostre strade. Così, poteva essere reso noto e archiviato, ciò che è accaduto a Riccardo Faggin che ha perso la vita schiantandosi contro un platano, nella notte fra il 28 e il 29 novembre, ad Abano Terme; il giovane, uno studente di 26 anni, avrebbe dovuto discutere la tesi di laurea in Scienze Infermieristiche di lì a qualche ora, nell’ateneo padovano.
Ma, nelle ore successive, si è aggiunta a questa notizia la smentita dell’ateneo, sulla tesi che Riccardo avrebbe dovuto discutere, concludendo il suo ciclo di studi… ciclo non completato, poiché non aveva superato tutti gli esami. Un fulmine a ciel sereno, caduto sui suoi poveri genitori, con il loro dolore immenso, reso ancor più devastante dalla scoperta di una vita parallela, purtroppo costellata di bugie, del loro figlio che da mesi li tranquillizzava su esami ostici superati e su una misteriosa tesi già pronta, tesi che aveva tenuta nascosta anche a loro.
Tutto questo apre, purtroppo, altri scenari dietro una tristissima vicenda, l’ennesima vittima della strada per un incidente che può essere, invece, conseguenza di un gesto volontario. L’ipotesi di un suicidio, pur terribile e amara, non è pertanto esclusa. Non approfondirò l’argomento, oggetto di indagine.
Tuttavia. pur senza entrare nella delicata trama della vita di Riccardo, fa davvero pensare la tragica fine di questo giovane cui, forse, i genitori avevano, per loro stessa ammissione, “chiesto troppo”. Sia la madre, sia il padre, hanno parlato di pressioni fatte sul figlio, affinché concludesse gli studi, affinché si realizzasse… pressioni per smuoverlo da una certa apatia della quale, in particolare durante il periodo d’isolamento dovuto alla pandemia di Covid19, il loro figlio era preda.
La vicenda di Riccardo può essere l’emblema di quello che, più o meno consapevolmente, molti genitori fanno, cercando di far salire quanto più in alto possibile con l’ascensore sociale i loro figli, facendo di tutto affinché salgano più di loro, guadagnino più di loro, abbiano vite più appaganti e facili della loro.
È bellissimo, nonché frequentissimo, vedere immagini festose di orgogliosi genitori e altri congiunti che festeggiano un neolaureato , che sia la laurea triennale o il dottorato. Immagini che preludono ad altre immagini, con notizie correlate, di master prestigiosi da aggiungere al curriculum di studi. Che siano figli di laureati, o di chi per vari motivi non è andato oltre la Maturità o la licenza di Scuola media… questi giovani sono l’orgoglio dei loro genitori, dei quali hanno eguagliato o superato i traguardi.
Con molta ipocrisia si afferma che ogni onesto lavoro merita rispetto, è dignitoso e lodevole…ma, ciascuno, per i propri figli, desidera ben altro che lavori ( peraltro redditizi, oltre che frutto comunque di un altro genere di studi) quale il saldatore, l’idraulico, l’elettricista, il muratore… e così via.
Sono lavori utilissimi e indispensabili, degnissimi , nobilissimi e compagnia bella… ma per i figli degli altri.
Questo forse scoraggia i giovani che, magari, dei propri studi e del proprio futuro lavorativo hanno una visione diversa, rispetto a lauree, dottorati e master ma non voglio deludere i genitori; talvolta andando contro le proprie aspirazioni o contro le proprie capacità e possibilità, imboccano e proseguono corsi di studi fatti di fatica e impegno, anche quando sono scelti volentieri…ma che, imposti dalle circostanze, appaiono irti di ostacoli ancora più insormontabili. Studiare impone sacrifici e rinunce, anche quando si ama ciò che si studia; studiare, soprattutto per non deludere le aspettative o per appagare le ambizioni, o i desideri, dei genitori che “vogliono il meglio” per i loro virgulti, è sicuramente un peso insostenibile.
Per la difficile serenità che, forse mai, i poveri genitori di Riccardo potranno raggiungere, si spera e si auspica che la tragedia sia “solo” un terribile incidente e non un gesto volontario del figlio, oppresso dal timore di deluderli, schiacciato dalle responsabilità e dalla solitudine.
Pensando a questa e ad altre vicende, si dovrebbe far tesoro della similitudine di Khalil Gibran “Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.” Con queste parole il poeta Khalil Gibran, descrive, secondo le proprie convinzioni, il rapporto tra genitori e figli.
I vostri figli non sono figli vostri…sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. / Nascono per mezzo di voi, ma non da voi./Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono./Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee. / Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. / Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri. /Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti. / L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane. / Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.
Kahlil Gibran poesia tratta dal libro “Il Profeta”