Il Festival della canzone italiana di Sanremo si è geneticamente modificato nel ‘Festival della televisione italiana’ perché l’ex piccolo schermo, ora cresciuto anche fisicamente in pollici e definizione, sa soltanto riprodurre se stesso all’infinito e non è meno virtuale dei social web, disegnando un mondo nel quale si muovono sempre le stesse figure che diventano storie, personaggi perpetuati grazie a botulini e tiramenti di pelle da fare ricordare le bambole in porcellana della credenza di famiglia. Sarà difficile entrare in tv, ma di sicuro diventa impossibile uscirne, sopravvivendo fra comparsate e ospitate varie.
Il Tv Deum di ringraziamento nel quale si sono impegnati dall’ultimo usciere al direttore generale per l’incremento di share del festival, nasconde in realtà un calo di numeri assoluti. L’anno scorso Conti aveva realizzato nella finale una media 11.843.000 ascoltatori, seicentomila in più di quest’anno e rispetto al primo anno di Fazio (2013) addirittura ha perso 1.700.000 ascoltatori, ma ormai la verità è così ‘se vi pare’. Come con i quotidiani; l’annuncio che il Quotidiano Nazionale è diventato il primo in edicola, più che un suo aumento, registra il crollo dei due colossi La Repubblica e Il Corriere della Sera. Altri tempi quando si disputavano il primato sopra le 500.000 copie.
Se ho amato il Festival di Sanremo come rito e appuntamento annuale, seguito da quando ne ho memoria, ovvero da quando Adriano Celentano iniziò, voltato di spalle, a co(a)ntare i suoi ventiquattromila baci, non sopporto l’omnitivu che relega i cantanti (quest’anno più mediocri delle annate più mediocri) alle notizie in breve e a pagelle date dai critici con oscuri criteri, fino ad osannare Patty Pravo, dalla voce e il fisico tenuti insieme in qualche modo. Molti cantanti sono essi stessi figli della tv, portati di peso al successo grazie ai talent e poi disseminati per sopravvivere in reality e comparsate varie.
Quali sono i dati sbandierati? Il ritorno all’utile della manifestazione, l’alto share che garantisce buoni introiti pubblicitari, qualche giovane in più fra il pubblico, il commento commosso per l’Italia bella che si mette in vetrina per suscitare simpatia, dal pianista Bosso, senza la cui disabilità non sarebbe mai finito a Sanremo (cfr. Ludovico Einaudi), all’atleta down Nicole Orlando, alla scuola con solo due bambini. E’ questa la tv, anzi Rai 1, con il suo pubblico di anziani tenuti in apprensione tutto il pomeriggio con la cronaca vera. I cantanti sono un indispensabile intralcio, perché comunque ‘Festival di Sanremo’ è un brand, peccato non c’entri più niente con la musica. Se devo stilare una pagella, assegno zero a Conti, ottimo professionista, ma abilissimo a guidare la nave proprio dove io non vorrei e lui con la musica ha litigato da piccolo perché i suoi programmi sono altro: imitazioni di cantanti fatti tal quali da altri cantanti, o imitazioni di cantanti fatti da se stessi cinquant’anni dopo. La musica è viva, ogni giorno suona diversa, segue suggestioni nuove, dovrebbe portare le impronte di chi le esegue, oltre che di chi la scrive. Una canzone altrimenti muore e Conti le uccide con ferocia da share e successo.
Assegno otto a Vessicchio, non come personaggio tv, ma per avere dichiarato che i cantanti dovrebbero preferire esibirsi tutti i giorni nei teatri, invece di creare maxiconcerti con amplificatori a gogo e assegno un tre a Fazio, che non era a Sanremo, ma mi sta dimostrando come la tv mangi tutto e tutti. Il suo Rischiatutto avrà una anteprima serale per mettere in onda i provini ai concorrenti: non più il meglio e il più sapiente dell’era buongiornica, ma un quasi reality di personaggi. Del resto chi è stato il primo a portare l’Italia a Sanremo con annunciatori presi da ogni categoria sportiva, delle scienza e dello spettacolo per fare passerella? Proprio Fazio. Sarebbe interessante conoscere, fra un anno, quanto hanno venduto i dischi di questo Sanremo, ma probabilmente non frega niente a nessuno.