La teologia solubile dei “cattolici adulti”

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In uno dei paragrafi dell’Esortazione Apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis, che Benedetto XVI ha rivolto all’episcopato, al clero, alle persone consacrate e ai fedeli laici, si sottolinea l’importanza di «rilevare ciò che i Padri sinodali hanno qualificato come coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme.(230) Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana.(231) Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l’Eucaristia (cfr 1 Cor 11,27-29) ».

L’Esortazione Sacramentum Caritatis chiarisce il pensiero del Santo Padre e della Chiesa sul significato del Sacramento dell’Eucarestia deve avere per ogni fedele. Nel paragrafo citato, inoltre, ha tutte le caratteristiche di un forte richiamo rivolto ai cattolici affinché sappiano «dare pubblica testimonianza della fede» e sappiano sostenere «valori fondamentali come il rispetto e la difesa della vita umana». Un richiamo cristallino che certo non mancherà di provocare mal di pancia anche in ambienti frequentati da quello che ormai viene identificato come “cattolicesimo adulto” o “cattolicesimo del silenzio”. Ambienti nei quali ad ogni piè sospinto non si manca di rimarcare la propria differente visione della fede rispetto a quella custodita dalla gerarchia e dove, rivoltando da cima a fondo quella della Chiesa, non si manca di elaborare una dottrina parallela a proprio uso e consumo. Su tale questione abbastanza esplicativo è l’intervento di Giuseppe Alberigo pubblicato qualche giorno fa su “La Repubblica” – nel quale il professore bolognese si chiede quale impatto l’Esortazione avrà presso i fedeli e se questa anziché rafforzare il corpo ecclesiale, piuttosto non introduca germi che possano dissolverlo – ed esplicativa è anche l’intervista che un altro importante esponente del cattolicesimo adulto, il ministro per la famiglia Rosy Bindi, ha rilasciato ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera. Riferendosi al ddl che porta la firma sua e quella di Barbara Pollastrini, Rosy Bindi si è detta «convinta che i Dico non sono peccato» e che essi possono addirittura «rappresentare semi di bene». Dinnanzi a simili affermazioni risulta inutile perdersi in tanti giri di parole, giacché è del tutto evidente che in Italia c’è una parte di cattolicesimo che ha la chiara pretesa di stabilire esso cosa sia bene per la Chiesa e cosa invece non lo è. Fortuna ha voluto che durante la celebrazione eucaristica alla quale ha assistito Rosy Bindi Gesù non fosse presente in carne e ossa, altrimenti c’è da scommettere che qualche consiglio “la pasionaria” lo avrebbe dispensato anche a Lui.

Pensare ai Dico come a possibili «semi di bene», comunque, sino all’altro ieri era del tutto inimmaginabile, anche perché fare una così gran confusione tra l’orgoglio gay, il matrimonio cristiano canonico e i Dico non è semplice. Ma al ministro i «principi non negoziabili» proprio non piacciono, ritiene che il loro elenco sia «troppo lungo» e che essi, così «come i talenti, non si difendono con l’ozio ma si investono, si trafficano, si negoziano, per trarne maggior frutto». Mediazione al posto di evangelizzazione e negoziazione a discapito della tradizione sembra essere il credo della titolare del dicastero per la famiglia e non importa se questo modo di fare alla fine rischia di sminuire, se non addirittura di slavare l’esperienza bimillenaria su cui si poggia l’avvenimento cristiano. Sembra quasi che per la Chiesa importante non sia indicare il bene dell’uomo nella figura di Cristo, ma farsi accettare dal mondo anche scendendo a compromessi con chi non fa mistero di voler sradicare dal cuore dell’uomo quel senso religioso che lo costituisce.

Se questa è la dottrina elaborata dalla “chiesa del silenzio”, allora di gran lunga più affascinante e corrispondente al cuore dell’uomo è quella proposta dal Santo Padre e dal ferreo cardinal Ruini, per i quali una “Chiesa contestata è molto meglio di una Chiesa irrilevante”.

 

 

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