“Economia e legalità sono due facce della stessa medaglia – attacca Grillo – senza legalità l’economia degenera in una sorta di spaghetti economy in violazione di tutti i principi teorizzati dall’economista Adam Smith aedo del liberismo e del libero mercato”. (Ndr: quando a Modena si parla di mercato non dobbiamo pensare al Mercato Albinelli).
A ragione Grillo sottolinea che, senza un controllo severo ed inflessibile da parte della politica sul mondo virtuale della finanza creativa, è facile poi ritrovarsi con un intero sistema finanziario mondiale intossicato dai titoli spazzatura “subprime” che tanti geniali economisti vorrebbero relegare nelle cosiddette “Bad Bank” ovverosia, alla lettera, banche cattive, la cui creazione dovrebbe poi gravare naturalmente sulle tasche dei contribuenti, già comunque pesantemente colpiti dalla crisi finanziaria ed economica in atto da troppi mesi.
“La spaghetti economy – nell’originale gergo politologico di Grillo – è un caso da manuale, tutto italiano, da insegnare in ogni facoltà di economia: immaginate infatti un blocco di spaghetti freddo, di qualche giorno, un blocco biancastro, ripugnante all’aspetto; provate a tirare uno spaghetto a caso e vedrete che lo spaghetto in questione opporrà una strenua resistenza. Rimarrà attorcigliato con ostinazione agli altri spaghetti, non saprete mai dove esattamente abbia fine e quanto sia lungo nella realtà ”.
Una mostruosità gastronomica che è una efficace metafora dell’anomalo sistema bancario e finanziario italiano. Mostruoso quanto aberrante.
“Se tirate lo spaghetto Parmalat – infierisce il Grillo parlante e martellante – dove terminerà?”. “Per non parlare dello spaghetto Cirio, della Banca Popolare di Lodi, di Banca 121, dei tango bond”
Tutti dei veri e propri “bond da gnint” consentitemi il gioco di parole in vernacolo modenese.(Ndr)
Davanti al rivoltante groviglio di spaghetti continua Grillo “Ci si deve rassegnare a una visione d’insieme, esterna di tutta la palla di spaghetti: fa schifo e basta; non si può indagare oltre: i conflitti di interessi (non riguardano solo Berlusconi Ndr) sono così intrecciati che un banchiere può essere anche un editore, ad esempio del Corriere della Sera, un industriale, presente in due consigli di amministrazione, può comprare e vendere al tempo stesso da solo: cioè vende o compra se stesso da solo; un sindaco può essere anche amministratore non solo della sua città ma all’interno di uno strategico e fondamentale consiglio di amministrazione.
Ogni riferimento alla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena non è puramente casuale. (Ndr).
“Parimenti un pregiudicato – continua Grillo con le randellate – può fare il presidente o il manager: emerge così il quadro di un’ economia, politica ed editoria da forte sapore di triade mafiosa o in odor di mafia che controlla il Sistema: una organizzazione di stampo omertoso molto più potente del sistema camorristico denunciato dall’eroico Saviano nel coraggiosissimo libro Gomorra; infatti le fusione delle due banche Unicredit e Capitalia è una dimostrazione di come il sistema protegga se stesso”. “In questi anni ammette a ragione Grillo – Capitalia è stata in parte risanata, riorganizzata e sottratta al <core business> (affari sporchi Ndr) che contraddistinsero la precedente gestione affaristica praticata nei corridoi di Montecitorio, quando Capitalia era una banca di agevolazione politica bipartisan ed il merito del suo risanamento va a Matteo Arpe, il quarantenne amministratore delegato che è uno dei banchieri più stimati nel mondo finanziario internazionale e che si oppose ad una serie di manovre del presidente di Capitalia, l’ultrasettantenne Cesare Geronzi risoluto da tempo a fare fuori il giovane Arpe che ha resistito per un po’ grazie anche al supporto degli investitori stranieri”.
Ciononostante Matteo Arpe (Grillo dimentica il particolare) è stato rinviato a giudizio nel luglio 2007 assieme a Geronzi nell’ambito del crack Parmalat per la vicenda dell’acquisto dell’azienda Ciappazzi di proprietà di Ciarrapico da parte di Tanzi (Ndr)
E qui Grillo tira fuori la clava sul conto di Cesare Geronzi “Il suo curriculum – arriva a dire il castigamatti genovese – farebbe invidia ad Al Capone, visto che per Geronzi fu richiesta dalla Procura di Parma l’interdizione dall’incarico di presidente di Capitalia; da quell’inchiesta emerse infatti che un dirigente di Capitalia, aveva scoperto già nel 2002 come stavano le cose nella Parmalat, con obbligazione in circolazione di circa 7 miliardi di euro contro il miliardo e 200 milioni dichiarato in bilancio: Geronzi non fece nulla, non ritirò le linee di credito verso la Parmalat e per più di un anno furono venduti bond con il buco dentro; il nostro poi fu condannato in primo grado dal Tribunale di Brescia per bancarotta preferenziale per il crac Italcase; ma oltre al danno la beffa atroce poiché Geronzi fu poi riconfermato alla presidenza di Capitalia che, fondendosi con Unicredit, ha dato poi origine alla più grande banca italiana con Profumo e Geronzi che campeggiano da vincitori e trionfatori sulle pagine di tutti i giornali”.
Poi il solito copione in salsa tutta italiana “Arpe viene costretto a rassegnare le dimissioni e Berlusconi e D’Alema sono felici insieme ad un nutrito gruppo di politici – conclude sconsolato Grillo – tutti molto felici e troppo felici: così Geronzi diviene vicepresidente di Unicredit Group, una banca
che ha quote azionarie ovunque: dai media con Rcs, alle banche d’affari con Mediobanca; un <Finale di partita> alla Samuel Becket : Profumo si occuperà di banca e quindi del business e Geronzi delle partecipazioni e quindi della politica: proprio una bella quanto strana coppia, il più potente banchiere italiano a fianco del pregiudicato Geronzi è la foto di un desolante fallimento: se l’economia è e deve o dovrebbe essere anche e soprattutto reputazione noi l’abbiamo persa da un pezzo”. Articolo di Beppe Grillo chiosato da Giulia Manzini.