Tanto per iniziare ormai dobbiamo fare i conti con un ciclo economico globale ormai molto maturo che difficilmente potrebbe estendersi ancora al di là di ogni ragionevole dubbio. Il 2020 ha molta probabilità di essere l’anno della prossima recessione mondiale, questo considerati ormai i numerosi focolai di tensione geopolitica ed economica che si contano al momento in tutto il pianeta: le istanze separatiste tra Pechino ed Hong Kong, la storia infinita della Brexit e su che che cosa questo comporterà per il Regno Unito a consuntivo, il deterioramento della crescita economica in Eurozona, il continente sudamericano ormai quasi completamente destabilizzato sul fronte politico, il Medio Oriente in cerca di nuovi equilibri geopolitici dopo lo scacco matto effettuato dalla Turchia sul fronte siriano. A chiudere il cerchio troviamo gli Stati Uniti prossimi ad assorbire il colpo con effetto ritardato delle politiche protezionistiche di Trump, le quali per adesso hanno impattato proprio sulle economie emergenti dell’America Latina: questo spiega il perchè in poco tempo le nazioni sudamericane, grandi esportatrici verso il Nord America hanno dovuto fare i conti con un mutato clima sociale conseguente al rallentamento economico di ciascun paese.
Il 2020 tra l’altro inizierà con l’avvio della campagna politica per le presidenziali degli Stati Uniti e ad oggi ancora non si è ancora rivelato chi sarà lo sfidante definitivo di Trump per il Partito Democratico, il che farebbe presumere ad un sempre più possibile secondo mandato. Segnali complessivamente negativi ve ne sono pochi in termini di market mood, tuttavia la debolezza del ciclo economico globale è ormai confermata trasversalmente da numerose investment house, segno questo che un ulteriore rallentamento per fenomeni esogeni come il protrarsi della trade war produrrebbe un effetto molto più negativo di quanto ci si possa aspettare. Chi investe denaro o decide di farlo nel breve termine deve valutare attentamente questa ipotesi di scenario in quanto ovunque le valutazioni delle asset class sono surriscaldate ed in taluni casi ormai eccessive. Le banche centrali con il loro operato hanno compresso i rendimenti di tutto ed in taluni casi li hanno portati ad essere addirittura negativi, vedasi il caso del debito governativo investment grade in area euro. Paradossalmente in questo momento appare più rischioso il mercato obbligazionario che quello azionario, in quanto i margini di manovra per le banche centrali a supporto e difesa dei debiti pubblici europei sono insignificanti o risibili.
Sostanzialmente la capacità di intervento delle banche centrali al fine di modificare il mood economico è privo di efficacia proprio perchè i tassi di interesse sono negativi, cosa che invece negli Stati Uniti permette ancora un piccolo spazio di manovra. In Europa solo la politica fiscale può fare la differenza in questo momento dando vita ad un nuovo ciclo economico espansivo: cosa che invece non può essere adottata negli Stati Uniti i quali invece si trovano in uno scenario opposto ossia quello di far raffreddare lentamente e senza contraccolpi tutta l’economia statunitense. Qui sta il punto di non ritorno: la caccia al rendimento ha spinto gli asset managers a ripiegare sul mercato azionario statunitense al momento ancora molto prospero per i lauti dividendi che continua a pagare. Da ricordare ancora una volta come gli elevati dividendi in realtà sono per la maggior parte conseguenza delle operazioni di acquisto azioni proprie che producono effetti distorsivi sul fronte dei prezzi: diminuendo il numero di azioni in circolazione aumenta il dividend yield (tuttavia l’utile complessivo non muta): molti commentatori indipendenti sostengono che questa in realtà rappresenti la prossima bolla che esploderà, specie se tali programmi di acquisto azione proprie sono alimentati con il ricorso al debito.
In definitiva avrebbe più senso adesso chiedersi dove non investire piuttosto che dove investire, cercando di eliminare dal proprio portafoglio quelle asset class che sono troppo correlate con l’andamento del ciclo economico globale: l’inversione del ciclo è infatti sempre più vicina. I mercati finanziari e le case di gestione per questo si trovano in una fase attendista confidando più che altro che le attuali tensioni geopolitiche mondiali si dissolvano o migliorino. In poche parole sperano in un miglioramento generale, nonostante siano ormai evidenti segnali di affaticamento in tutte le principali economie mondiali, che oltretutto non sono affatto di buon auspicio. In assenza di alternative per una allocazione attendista, l’approccio al mercato deve pertanto più che mai essere molto difensivo adottando semmai un comportamento quasi camaleontico nella gestione del rischio. Eventuali strumenti per un parcheggio di liquidità possono essere considerati i fondi monetari cash-plus oppure alcuni fondi comuni di investimento alternativi specializzati nella combinazione di diverse strategie sulla gestione della volatilità all’interno del portafoglio in gestione. Eviterei in tal senso i fondi direzionali, sia azionari che obbligazionari, proprio in questo momento specifico, tralasciando tuttavia come unica convinzione tematica il debito emergente in valuta locale emesso da organismi sovranazionali.