La Libia può diventare una seconda “”El Alamein””.

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La politica estera non deve essere povera nè ambigua. La  grave situazione in Libia richiede che  l'eventuale appoggio ""preveda l'imprevedibile"" per come si prospetta questo intervento Le regole d'ingaggio devono essere decise prima di un intervento a terra, con un preciso pacchetto d'ordini. Qui si gioca la vita di tante persone, soprattutto se c'è un'incauta valutazione dei rischi

Quando avviene che le diplomazie internazionali, sempre agli ordini delle politiche di governi, chiamati in causa per trovare corridoi di intese comuni, nel risolvere questioni di grossa portata, come sono i conflitti in altri Stati, ma che possono perturbare gli equilibri mondiali, basta solo un tassello, o perché sfuggito, o perché non chiaro per controverse prese di posizione e la volontà di un coinvolgimento internazionale, come quello che sta per avvenire in Libia, può diventare una seconda “”El Alamein””. E’ curioso, ma anche paradossale, infatti, che a distanza di 75 anni ciò che vedono quei territori sabbiosi, le vecchie strade scassate piene di povere della stessa sabbia del deserto, che ha lasciato tra buche e per terra un cumulo di centinaia di migliaia di soldati morti nella Seconda Guerra Mondiale, ora rivedono vecchie carrette di autoblindo, carri armati sgangherati, gruppi di artiglierie mobili e più o meno pesanti, fuori strada di ogni tipo, che si scontrano tra governi di una stessa Nazione, contrapposti. In mezzo, di lato, in longitudine ed in profondità, c’è pure l’ Isis. Si sparano tutti, bombardano, ci sono crolli e distruzioni e, nel frattempo, due atavici competitivi alleati occidentali, da sempre, quasi concorrenziali nella supremazia militare, come gli USA e la Francia, bombardano quei territori dall’alto, effettuano incursioni, partendo da le più disparate basi d’appoggio, ampiamente note a tutti, o perché da portaerei dislocate nel Mediterraneo, oppure da aree geografiche nostrane. In questi casi, come non tanto in un lontano passato, quando c’erano un paio di dittatori che, a mio avviso, avrebbero potuto lasciarli dove si trovavano, senza fomentare sulla loro popolazione tutta quell’ira finale e truculenta di come chiude, normalmente,  un’esistenza un tiranno, morto, ammazzato, ovviamente, male, ci sono sempre stati gli analisti militari, gli esperti di strategia, i geopolitici, i cultori di un sapere che, abbottonati, però, ad uno spirito di servizio istituzionale, professionale, sono sempre stati cauti e riflessivi nel fornire le loro opinioni in merito ad un intervento collettivo o meno. Purchè sia sempre collettivo, di una coalizione di forze e mai di una sola! Sarebbe sempre da considerarsi un suicidio qualora avesse un solo governo occidentale agito da solo!  Ora ci risiamo di nuovo, ma questa volta la complessità di un conflitto allargato, come sempre, per andare a casa degli altri, non solo porterà morti, ma tutte le conseguenze di probabili danni collaterali, se a monte non ci saranno accordi a “”tappeto””, univoci. L’ opinione pubblica italiana deve sapere che poiché andare incontro a questa guerra locale tra diverse fazioni arabe, tutte lì, asserragliate nella vecchia “”Quarta Sponda”” è senz’altro molto oneroso, anche in termini di difficoltà un immediato raggiungimento dell’obiettivo, in uno scacchiere dove, per prima cosa, bisogna mettere d’accordo due governi opposti, che intanto si stanno facendo guerra tra di loro. Contemporaneamente, proteggere mediante gli “”007″” chi sta lavorando per darci gas e petrolio, altrimenti sul libro paga civile dei morti il numero aumenta. Poi, spiegare agli italiani, senza dubbio, che su un altro libro paga, militare, questa volta ci saranno parecchi che perderanno la loro vita e le forze in campo, se così sarà stabilito, dovranno avere un paritetico pacchetto d’ingaggio operativo per un’efficienza del “”combat”” uniforme e quindi non certo mirata ad “”addestrare””, come mi è parso di avere compreso, fin’ora, dai media. La situazione in Libia è molto grave e non può essere lasciata al destino. Bisogna che l’appoggio preveda l’imprevedibile su tutti gli aspetti sensibili. Mi rendo conto che è un nodo cruciale per come si prospetta questo intervento che, davvero, dalla fine della seconda guerra mondiale, non ha purtroppo precedenti. Qui si gioca la vita di tante persone, soprattutto se c’è un’incauta valutazione dei rischi. Le regole d’ingaggio devono essere decise prima di un intervento a terra, con un preciso pacchetto d’ordini che abbia delle fasi: prima, azioni di spionaggio, controllo e sorveglianza e tutela dei siti; poi un’azione congiunta con le tre forze di azione di fuoco: marina, aeronautica ed esercito. Tutte insieme queste forze dovranno agire con un dispiegamento di uomini di gran lunga superiore a quanto abbia letto e sentito. Dovrà essere una seconda “”D-Day”” di “”escalation”” addirittura superiore a quello che ci fu per lo sbarco in Normandia! Inoltre, non potrà mai essere consentito un imperdonabile errore di quantificare il numero delle ore che serviranno per le azioni tattiche, per fronteggiare quello che sarà un certo tipo di combattimento, altrimenti si rischierebbe che l’addestramento  ripartirebbe tutte le volte da zero. Non potranno essere attività che puoi mollare e ripetere! Questo deve essere chiaro, sia all’opinione pubblica che attende delle risposte certe da parte della politica, ma prima ancora, una logica, comune intesa di tutti i “”partner”” che vi opereranno, intanto, per distruggere, annientare chiunque si opporrà con la forza ad un intervento di massa.

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