Forse perché siamo sotto referendum, forse per una presa di coscienza tardiva o piuttosto per le reazioni sempre più esplicite e fenomeni di respingimento e di rifiuto, sembra che qualcosa si muova sul fronte dei migranti e cominci a leggersi qua e là una più articolata riflessione, lasciando finalmente da parte la basica contrapposizione: li accogliamo, senza condizioni, o li respingiamo, sempre senza condizioni.
Quello che inizialmente era l’arrivo di disperati sospinti dalle guerre e dalle lotte politiche, quelli cioè giustamente ritenuti ‘rifugiati’, si è tramutato in un flusso migratorio senza fine che ha scelto la via dei barconi sapendo che una eventuale espulsione, se mai ci sarà, arriverà dopo un’istruttoria lunghissima, con tutto il tempo per dileguarsi e mescolarsi agli altri stranieri in clandestinità, come in clandestinità finiscono coloro che perdono il lavoro e non hanno più condizione per rimanere in Italia.
C’è una grave sottovalutazione delle implicazioni per lo stato di diritto, insite nell’accettazione della clandestinità come male necessario, con un crescente numero di persone ‘inesistenti’, fuori dalla comunità, fuori da ogni diritto e fuori da ogni dovere, persone che debbono inventarsi forzatamente un modo non legale di guadagnarsi la giornata.
Ovviamente il dramma è prima di tutto loro, sfruttati, costretti ad una moderna schiavitù, ma è un dramma anche nostro perché sono concausa ed effetto della distruzione delle nostre democrazie.
Se la comunità smette di comprendere tutti gli abitanti del suo territorio, diventa una istituzione parziale e saltano presupposti come la cittadinanza quale ‘stato’ e non ‘scelta’, con doveri e diritti imprescindibili; salta la possibilità e la capacità di controllo; salta la pari dignità ricreando le caste e le distinzioni fra cittadini e schiavi. Io credo che alla lunga salteranno le istituzioni come le conosciamo e qualsiasi cosa le sostituirà, sarà un’altra cosa, ben difficilmente migliore.
La politica ormai gestisce il consenso invece di governare e di fare scelte nell’interesse generale per il lungo periodo e quando è in difficoltà ad affrontare un problema, lo evita o lo tace. Il tema delle migrazioni non può essere ridotto ad una rivendicazione economica, pur giustissima, nei confronti dell’Europa che si è girata dall’altra parte e lascia i paesi del Mediterraneo a gestire l’emergenza. Esiste un problema tutto nostro italiano, legato alle inefficienze ben note, che impedisce di governare l’ordine pubblico, gli arrivi e le partenze dalla nostra nazione, soprattutto le permanenze. Ovunque le fasce meno protette stanno ribellandosi ai partiti tradizionali, come è successo a Monfalcone con la vittoria della Lega in una città superrossa, ma che si è sentita abbandonata dai suoi politici, mentre nei cantieri i “”subsubsubappalti”” vedono sempre più lavoratori stranieri, sottopagati, vittime del caporalato. L’Europa è come Monfalcone e noi intanto continuiamo a scannarci per il Referendum.
Ormai lo scrivo sempre: stiamo ballando sul Titanic.