Italiani brava gente e medicina delle migrazioni

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Noi italiani, forse, non siamo più brava gente. . Nemmeno i muri del cimitero, che da noi i giardinieri comunali tengono lindi e con aiuole erbose, si salvano ….e c’è dell’altro!

Mustafà, è il soprannome, assai scontato, affibbiato al primo “marocchino” che circolava, quando ero bambina, nella mia città, nel quartiere del centro storico dove sono cresciuta.

I nostri genitori e i  nonni non mancavano di ricordare a  noi bambini, che, anche senza essere ricchi, eravamo comunque privilegiati rispetto a molti altri, invitandoci così  alla generosità ed educandoci all’accoglienza, verso chi era meno fortunato, che abitasse dietro l’angolo, o venisse da lontano.

E i venditori di tappeti e coperte venivano da lontano ed erano meno fortunati. Macinavano chilometri sotto il sole, per vendere, a prezzi accessibili, e comunque trattabili, le loro merci.

Forse per ingenuità, forse per l’italica proverbiale bonomia, forse per colpevole cecità…di certo, i primi marocchini col tappeto sulle spalle che giravano per le nostre città erano accettati, non arrivo al punto di dire “graditi” ma ricordo che nel mio quartiere,  in ogni casa c’era almeno una di queste coperte, bruttine, scadenti, a scacchettoni inguardabili. Ma tutti le compravano per fare indirettamente del bene  a Mustafà, il quale, anche se povero, non mendicava, né rubava. E, così facendo, tutti si sentivano “Italiani, brava gente” anche se il contesto non era ovviamente quello del film di Giuseppe de Santis[1].

Sono passati tanti anni. Mustafà ha i capelli bianchi, gira ancora per il quartiere, ma solo con qualche leggero copriletto confezionato sottobraccio, cammina piano, non accetta la bibita fresca che i vecchi “amici” di un tempo gli offrono ( lui chiamava “amico” l’interlocutore) è di indole solitaria.

Non si è mai seduto ai giardini dove i suoi giovani connazionali ridono sgangheratamente e stazionano stabilmente, impedendo di fatto che si possa sedere qualcun altro, giovane, vecchio, o bambino.

Abbiamo sbagliato tutto noi italiani, non so se siamo troppo buoni, troppo creduloni, troppo superficiali, di certo abbiamo fatto un errore di valutazione

Chissà, la nostra idea di arabo, e di islamico in generale, forse era quella dello Sceicco Ilderim, amico di  Ben Hur, intenditore di cavalli, intelligente e astuto, ma simpatico, rispettoso delle leggi, capace di far cadere nei trabocchetti delle sue acute parole un tracotante romano come Messala…

Comunque sia, è passato il tempo e con esso è cresciuta, in modo inversamente proporzionale alla nostra disponibilità, la presenza sul nostro territorio di persone di ogni etnia, non solo quelli che genericamente chiamavamo “marocchini”.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e la preoccupazione dilaga e con essa l’intolleranza.

Noi italiani, forse, non siamo più brava gente.

Non voglio ripetere le cose che in molti, purtroppo sempre più spesso, e con evidenza circostanziata, hanno riportato, riguardo alla sicurezza.

Voglio, anche se non è molto elegante, parlare della pericolosità rappresentata da certe abitudini, appannaggio di questi signori, ad esempio adibire a latrina la pubblica via, i cortili condominiali, ogni angolo. Nemmeno i muri del cimitero, che da noi  i giardinieri comunali tengono lindi e con aiuole erbose, si salvano dalle loro emergenze,  urinarie e non.

Non è solo disgustoso e incivile. C’è dell’altro.

Ci sono malattie terribili, come la poliomielite,  il cui virus si diffonde attraverso le feci umane. Più comunemente le persone infette eliminano grandi quantità di particelle virali con le feci, dalle quali il virus può essere trasmesso indirettamente o direttamente ad altre persone. Fino a quando un bimbo non è vaccinato, e talvolta per vari motivi, la vaccinazione viene procrastinata fino ad un anno di età, è in grave pericolo. Magari un fratellino giocando per strada ha raccolto il pallone rotolato per terra, può entrare in contatto col virus e trasmetterglielo.

L’inqualificabile abitudine di sputare, che non permetteremmo mai  ai nostri bambini,  è abbondantemente  invalsa tra i nostri ospiti indesiderati che come sappiamo non  sono immuni da malattie come la tubercolosi.

La febbre tifoide è trasmessa da cibo o acqua contaminati da feci umane.

Non entro nel merito di malattie come la meningite, batterica e virale, o talune dermatiti, perché l’argomento è strettamente medico e porterebbe davvero molto lontan
o, ma sappiamo che l’incremento delle quali è legato alla promiscuità, nonché all’assoluto disinteresse per ogni più elementare norma igienica.

In ogni caso, non è rassicurante quanto affermano gli studiosi di “medicina delle migrazioni”[2]  ad ogni piè sospinto, ossia che sono più le malattie che i migranti (non clandestini, non extracomunitari, parole ritenute offensive) prendono una volta arrivati da noi, che quelle che essi portano con sé dal paese di origine, da cui partono “giovani e sani”.

Resta da stabilire in quale modo sia possibile verificare il dato relativo alla loro salute di partenza, dato che arrivano da clandestini, comunque sembra di capire che è colpa nostra se si ammalano di qualche  malattia anche grave e infettiva (come la tubercolosi sopraccitata) pertanto è meglio dare loro l’accesso ai servizi sanitari di prevenzione e cura, magari  prima di noi italiani, per evitare che si ammalino e che diffondano poi le malattie.

Un po’ circonvoluto come ragionamento, ma in sintesi è questo il concetto.

Non si dicono apertamente le cose.

Il  problema  è serio, ma grazie alla “”dittatura mediatica”” vigente è meglio non affrontare l’argomento per non scatenare allarme nell’opinione pubblica già allarmata di suo. Mentre invece è un allarme che non va sottovalutato, sarebbe necessario un coordinamento fra le varie ASL nonché la collaborazione, con lo scambio di informazioni e tecniche mediche di prevenzione, con i paesi di origine, sia africani, sia orientali.

Con l’inquinamento, l’immondizia, i rifiuti tossici, le polveri sottili, le onde elettromagnetiche e quant’altro, siamo già abbastanza nei guai.

Non abbiamo, io credo, bisogno di altro.


[1] Film di Giuseppe De Santis, del 1964, che tratta, con mano malinconica e profonda, alcuni episodi  della campagna italiana in Russia, tra il 1941 e il 1943.

[2] La Società Italiana di Medicina delle Migrazioni raccoglie, dal 1990, medici e altri operatori sanitari interessati ad approfondire il tema della salute in una società multiculturale e ad adoperarsi per favorire la conseguente evoluzione delle strutture sanitarie e della mentalità di chi vi opera.

 

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