Ci eravamo fermati sulle Sue considerazioni circa l’educazione familiare: il Suo pensiero non fa una grinza e dovrebbe fare riflettere molti genitori [1] . Ora ritornerei al mondo della scuola per chiederLe: Lei ritiene che la riforma che è stata promulgata dal ministro Gelmini, di là dalle imperfezioni (inevitabili, ritengo, in considerazione dello sfacelo in cui versano le macerie della scuola in Italia), sia orientata nella corretta direzione, oppure no?
Sulla riforma Gelmini potremmo aprire una discussione infinita. Mi limiterò a dire che purtroppo, per ora, ha tutto l’aspetto della riforma di propaganda tipica di tutti i governi italiani, di destra o di sinistra. Non è con un grembiule che riportiamo la disciplina e il rigore. Bisogna preoccuparsi degli operatori, dei maestri, come ho già detto prima. Altro discorso quello della condotta: le indicazioni sono state abbastanza vaghe, ma l’intenzione mi sembra buona. Rivalutare il voto di condotta costituisce un deterrente piuttosto forte per gli alunni. Ammetto, tuttavia, che pare un provvedimento di rattoppo. Anche qui il lavoro deve essere più vasto e articolato. E ancora una volta non mi stanco di richiamare l’attenzione sui comportamenti degli insegnanti, che non devono dimenticare di essere modelli per gli alunni.
Forse il grembiule non ha, nelle intenzioni del ministro, la finalità di riportare la disciplina e il rigore, ma ora, più provocatoriamente, Le chiedo: se Lei fosse al posto del Ministro Gelmini, dando per assodato che Lei consideri inderogabile una riforma dell’apparato scolastico, da dove avrebbe iniziato e come avrebbe impostato a grandi linee la Sua riforma?
Dopo la mia risposta precedente, me la merito proprio una domanda come questa! Facile criticare, ma proporre? Se potessi riformare l’apparato scolastico, comunque, partirei dalla classe insegnanti. Sono fresca di reclutamento, ma posso assicurare che le pecche principali della scuola stanno proprio lì. Diventare insegnanti in Italia è facilissimo, ma soprattutto, una volta ottenuto il posto, difficilmente lo si perde. Pochi stimoli prima, pochi stimoli dopo. Bisognerebbe, invece, sottoporre i docenti a esami, verifiche e valutazioni. So che organizzare operazioni di questo tipo sarebbe molto difficile, ma siamo davvero disposti a rinunciare a un compito così importante? Provate a fare un giro esplorativo nelle famigerate SSIS (scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario): vedrete quanto siano basse le richieste, quanta ignoranza venga tollerata, quanto vuoto formalismo trionfi sui contenuti. Mascheriamo con paroloni come pedagogia, sociologia, psicologia una vacuità culturale disarmante. Partendo dall’idea che fare l’insegnante non sia una mestiere come gli altri, ma debba essere una vocazione (idea di cui sono fermamente convinta), è così utopico chiedere allo Stato italiano di rivalutare, a costo di tagliare le mele marce, coloro che svolgono il proprio compito con passione? Stiamo assistendo ad un appiattimento generale: chi vale è posto sullo stesso piano di chi non vale. E allora come possiamo stupirci del fatto che poi i risultati siano deludenti da tutte le parti?
Sull’abrogazione del verbo “meritare”, un premio o un castigo che fosse, e sugli effetti sciagurati che ne sono derivati si potrebbe disquisire a lungo, ma siamo ancora una volta in sintonia, quindi proporrei di mutare l’asse del discorso e tornare agli aspetti preminentemente educativi: se Le chiedessi (supponendo, del tutto infondatamente, che Le sia ignoto l’autore [2] della frase), di soppesare questa affermazione: “Si arriva a dire ai giovani, che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù”, Lei se la sentirebbe di approvarla? Sia in caso affermativo, sia negativo, vorrebbe motivare a grandi linee la Sua risposta?
Quasi mi spaventa commentare una frase che proviene dalla famiglia Comparetti. I testi di Domenico Comparetti mi hanno lasciato un bellissimo ricordo dei miei studi universitari. Tralasciando l’inciso, posso dire che ogni età ha un ruolo da rispettare: i giovani obbediscono, gli adulti danno le regole, gli anziani regalano la saggezza. Per essere i saggi di domani, i giovani devono prima farsi umilmente guidare da chi ha più esperienza di loro.
Da qualche tempo si va facendo strada una protesta, apparentemente avallata anche dal Capo dello Stato, concernente il sostanzioso taglio alle risorse economiche destinate alla ricerca universitaria. Il Governo, dal canto suo, dichiara di agire da un lato per ripristinare un sistema virtuoso, premiando gli atenei che hanno investito oculatamente le risorse ottenendo risultati, dall’altro per ridurre gli sprechi, riducendo i finanziamenti alle università che hanno dimostrato di avere dilapidato ingenti somme quasi esclusivamente in inutili sperperi. Qual è la Sua opinione in merito?
Credo che sia giustissimo premiare le università che dimostrano di saper usare con criterio i fondi assegnati loro. Mi permetto di aggiungere, però, che l’Italia ha un’atavica incapacità di valorizzare il settore universitario e il settore della ricerca. Ho esperienza molto diretta di persone costrette a trasferirsi all’estero per coltivare la ricerca in modo decoroso, sia a livello di mezzi, sia a livello di gratificazione economica. Se il governo intende davvero operare tagli per creare un sistema virtuoso che poi darà il giusto riconoscimento a ricercatori e alle università, allora ben venga.
Fra i quattro grandi livelli dell’istruzione:
scuola primaria
scuola media inferiore
scuola media superiore
università
quale, a Suo parere, richiede interventi più profondi e radicali?
La bacchetta magica purtroppo non esiste. Va da sé che ciascuno dei livelli sarebbe da riformare, ma se dobbiamo scegliere, allora partiamo dal primo. Cominciamo a garantire basi solide alle scuole elementari, poi passiamo agli altri livelli. Inutile agire a livello universitario se poi chi arriva all’università scrive a senza l’h!
Nel libro “Lettera a una professoressa”, che un tempo fece scalpore, ci sono alcune frasi emblematiche del pensiero che animava chi la scrisse [3] . Per evidenti ragioni di spazio ho estrapolato dal contesto alcune di codeste frasi indirizzate appunto alla professoressa:
Lei dice d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora lei sostiene che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nella case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che la dispettosa sia Lei. [4]
Bocciare è come sparare in un cespuglio, una soluzione troppo facile.
È più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e, se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare.
Solo i figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. Standogli accanto ci si accorge che non lo sono. E neppure svogliati. O per lo meno sentiamo che sarà un momento, che gli passerà.
Ora Le chiedo: se Lei fosse stata la professoressa a cui fu indirizzata la lettera, come avrebbe reagito o, se preferisce, come reagirebbe oggi?
Rileggere alcune parti di quella lettera genera in me una sensazione molto simile all’ira funesta! Come si può cedere ad una logica di giustificazione così bieca? Probabilmente molti dei problemi della scuola italiana sono cominciati proprio da qui, dall’incapacità di riconoscere la necessità della meritocrazia, logica base, soprattutto in un ambito come quello scolastico. Come possiamo pensare di formare i futuri adulti della nostra società se non garantiamo loro un’educazione fatta di assunzione delle proprie responsabilità e desiderio di superare i propri limiti? Bocciare non è facile e non è nemmeno una decisione da prendere a cuor leggero, ma quando ci vuole ci vuole. Non è retorico dire che una bocciatura può servire. È proprio così. Se l’alunno è svogliato e non si impegna, se ha scelto la strada sbagliata, è nostro dovere assumerci la responsabilità di farlo maturare, anche passando dall’esperienza del fallimento, o indirizzarlo altrove, magari in un ambito più consono alle sue attitudini. Certo, è molto meno faticoso regalare a tutti un sei politico e lavarsene le mani. Ma, torno a ripeterlo, un insegnante sceglie di fare l’insegnante proprio perché non vuole lavarsene le mani. Un insegnante è un insegnante vero quando, in nome del bene dei suoi alunni, è disposto anche a prendere decisioni difficili, andando fino in fondo.
I Suoi allievi forse non se ne sono ancora resi conto appieno, ma sono molto fortunati. La ringrazio per la disponibilità e per il tempo che ci ha dedicato. Auguri professoressa.
[2] L’autore è Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, altrimenti noto come don Milani, priore di Barbiana. Lorenzo nacque, in una sontuosa casa di Firenze, il 27 maggio del 1923 da Albano Milani, laureato in chimica, poeta, filologo, conoscitore di sei lingue, e da Alice Weiss, donna colta di origine ebrea; la famiglia apparteneva all’alta borghesia intellettuale fiorentina, una famiglia che per secoli ha sfornato docenti universitari e scienziati.. Ebbe un fratello maggiore, Adriano, e una sorella più piccola, Elena. L’antenato più illustre è il bisnonno Domenico Comparetti: grande filologo, conosceva 19 lingue.
[3] Nel maggio del 1967 viene pubblicata Lettera a una professoressa, scritta dalla scuola di Barbiana. Si tratta di un’opera collettiva, il risultato di un anno di attività degli studenti.
[4] Gli studenti di Barbiana denunciarono la scuola italiana, una scuola, a detta loro, classista che boccia i poveri, espressione di una classe intellettuale autoreferenziale, al servizio solo di sé stessa.