L’Humanitas University di Milano ha cambiato il test di accesso alla facoltà di medicina con l’obiettivo di “”valutare le attitudini degli studenti, indipendentemente da quello che hanno imparato alle scuole superiori””. Lo scrive Milano Today: “”Si tratta di uno strumento sviluppato per riuscire a intercettare e a valutare le reali competenze degli studenti che saranno chiamati a dimostrare quanto è grande il loro amore per la professione che sognano di imparare””, cioè “”identificare gli studenti di talento che, indipendentemente dal loro diverso percorso formativo, possiedono capacità di pensiero scientifico, pensiero critico e capacità di analisi e comprensione di testi accademici””.
Da un lato mi piace il recupero della ‘passione’; inizialmente sono rimasto perplesso che le reali competenze in qualche modo vengano ritenute disgiunte dal ‘sapere’.
Sul fronte professionale non ho mai amato i concorsi pubblici che, a qualsiasi mansione aprano le porte, si risolvano spesso con domande e temi di carattere normativo e legislativo, lasciando completamente in ombra la personalità del candidato, la sua cultura generale, la sua capacità di connessioni ed elaborazione, però quel ‘indipendentemente da quello che hanno imparato alle scuole superiori’. mi suonava un po’ storto.
Ma è giusto, perché non è importante quale scuola uno abbia fatto, ma ‘come’ l’abbia fatta, come abbia saputo assimilare quanto la sua scuola gli ha trasmesso, perché la stessa capacità di reazione l’avrà davanti agli stimoli dell’università
E’ giusto, ma per me con due precisazioni.
La prima è che ci sono linguaggi indispensabili: inglese e informatica che temo non sia più possibile recuperare a livello universitario. O hai basi e abitudini precedenti, oppure sei tagliato fuori.
La seconda è che una base di studi umanistici resta indispensabile e chi viene da studi tecnici dovrà recuperarli perché la medicina è destinata a curare ‘l’uomo’ e non solo sue singole parti.