Ma è proprio vero che gli immigrati sono il toccasana per l’economia? Che senza di loro le industrie chiuderebbero? Che sono loro che tengono su il sistema previdenziale e forniscono i soldi per pagare le pensioni? Così la pensano tutti i repubblicones e loro alleati. Così non la pensano due premi Nobel per l’economia, Maurice Allais e Gary Becker. Essi hanno studiato a fondo gli effetti di un gran numero di immigrati in un’economia e le loro conclusioni non coincidono con quelle della vulgata catto-comunista.
Un altro studioso, Alan Marion, dell’ Università di Lione III, ha dimostrato che le contribuzioni sociali e fiscali degli immigrati sono lungi dal coprire i loro consumi di infrastrutture (ospedali, scuole, ecc.). Allais ha fatto un po’ di conti.
Per lui “quando un lavoratore immigrato addizionale arriva, occorre, per realizzare le infrastrutture necessarie (alloggi, ospedali, scuole, università, infrastrutture varie, installazioni industriali ecc.) un risparmio aggiuntivo da parte della comunità pari a quattro volte il suo salario annuo. Se egli arriva con moglie e tre figli, il risparmio addizionale necessario è pari, a seconda dei casi, da dieci a venti volte il salario annuo di quel lavoratore, un peso non indifferente per l’economia. Il prof. Marion parla chiaro: “ L’immigrazione (eccessiva) si traduce in una spogliazione degli abitanti del Paese di accoglienza, a ragione della riduzione del diritto all’impiego delle infrastrutture che questi ultimi sopportano. Si è in presenza di un fenomeno di esternalità negative ben noto in economia. Si ha l’esternalità negativa quando i consumi di una parte deteriorano il benessere della collettività, sia che tale deterioramento risulti in una riduzione del livello di soddisfazione ( allargamento del numero dei beneficiari delle infrastrutture) sia che provenga da una presa in carico della spesa da parte di una categoria di consumatori (aumento del tasso di pressione fiscale e sociale).”
Altri effetti di un’immigrazione massiccia, secondo gli studiosi citati, sono la disgregazione del cemento sociale e il peggioramento della spinta verso la disoccupazione, in particolare nei momenti di crisi economica o di recessione. La conclusione è che se un’ immigrazione moderata può considerarsi vantaggiosa e auspicabile, un’ immigrazione non governata e irragionevole costituisce un grave rischio.