“Migranti, riunione Ue urgente il 14 settembre”. “Il Papa: basta stragi!”. “Nuovo naufragio in Libia”. “71 rifugiati soffocati in un tir. Tre arresti”. “Gran Bretagna: da noi solo stranieri Ue con lavoro”. Ogni giorno è un bollettino di guerra e di disperazione, ma non dovremmo stupirci. Ci riempiamo la bocca di ‘villaggio globale’, di mercati senza frontiere, di abbattimento degli ostacoli per il viaggiare delle merci e dei soldi. Troviamo normale che i nostri figli emigrino all’estero in cerca di miglior fortuna, scampando all’asfittica economia italiana, in ripresa soltanto nelle roboanti e sempre più berlusconiane dichiarazione del premier Renzi e del suo fido Poletti. Però troviamo intollerabile e insopportabile che altre genti non stiano ferme a soffrire e morire, inseguendo un riscatto o almeno una speranza, immemori perfino che neanche un quarto di secolo fa, nel 1991, giunsero a Brindisi il 7 marzo, 27.000 albanesi, attratti da una inesistente società felix raccontata dalla nostra tv ed altri 20.000 arrivarono l’8 agosto. A quanto pare non abbiamo imparato nulla!
Se la vecchia Europa avesse investito nei luoghi d’origine dei migranti i soldi che oggi deve invece spendere nella loro accoglienza, avrebbe ottenuto risultati migliori per tutti e uno sviluppo più equilibrato. Invece la politica ha delegato e continua a delegare all’economia il governo del villaggio globale, per cui l’abbattimento delle dogane e delle merci ha avvantaggiato le imprese più grandi e i gruppi d’interesse più potenti, mentre l’accoglienza dei migranti cadrà sulle spalle della collettività, anzi di quella classe operaia e media che sostiene la fiscalità. Più si allargherà la forbice fra posti di lavoro e mano d’opera disponibile, più caleranno i diritti, aumenterà lo sfruttamento, si tornerà a formule primitive del lavoro.
Non ha torto chi ricorda che si cancellano posti di lavoro se si incrementano le forme assistenziali combinate ad attività socialmente utili, se il volontariato allarga il suo contributo, se diverse mansioni vengono svolte da rifugiati, carcerati, giovani disoccupati, tirocinanti, garanzie giovani, servizi civili. Calano i posti che rispondono alle necessità di un percorso di vita e aumentano lavori sottopagati, insicuri, marginali, deprofessionalizzati, a termine.
Un villaggio globale non può essere a compartimenti stagni, ma purtroppo sono le classi più povere a doversi stringere per fare posto ai nuovi arrivati. Le classi più agiate continueranno a prosperare ed anzi a incrementare gli spazi loro assegnati.