Dopo il convincente e coinvolgente allestimento teatrale “E.. i futuristi?” a cura di Valentino Borgatti, dopo la splendida conferenza di Carlo Alberto Sitta su “La poesia futurista” , il giornalista-operatore culturale (forse sarebbe meglio definirlo “agitatore e realizzatore di idee e di progetti artistico-culturali”) Roberto Armenia, con il supporto di diapositive a colori, ha sviluppato il tema di casa nostra “Cronache futuriste modenesi”.
Segue una sintesi con i punti base della sua ricca relazione, intitolata “Cronache futuriste modenesi”..
Futurismo & Futurismi
Come ricorda Apollinaire, “i futuristi hanno dato avvio al rinnovamento dell’intera arte europea”, con l’obiettivo primario di raccontare “l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà, il coraggio, l’audacia, la ribellione”.
Nel loro esasperato vitalismo, volevano cambiare il mondo, unire l’arte alla vita, in una meravigliosa utopia.
“Per rompere con la tradizione borghese e correre verso il nuovo” , scrive Rachele Ferraro per l’inaugurazione della mostra dedicata al primo Centenario del Futurismo, al MART di Rovereto, il 14 gennaio 2009, mostra che si propone di documentare anche la relazione tra Futurismo italiano e le avanguardie russe e tedesche: cubofuturismo, espressionismo e der Sturm.
Questo centenario, che presenta l’incredibile lacuna di una rassegna unitaria dedicata al grande evento, è ricordato con una miriade di iniziative, di piccole e grandi manifestazioni che, partendo dalla rassegna al MART di Rovereto, passa attraverso la mostra “Le Futurisme à Paris. Une avant-garde esplosivo”, alle Scuderie del Quirinale, a Roma, attraverso le mostre di Venezia (“Astrazioni” al Museo Correr) e di Milano (“Simultaneità” a Palazzo Reale), tutte mostre che si propongono di costituire, di dare corpo ad un progetto totale, “capace di investire non solo l’arte ma la vita quotidiana, il costume, l’erotismo”, come sottolinea Claudia Solaris, moglie dell’artista Pablo Echaurren, ma soprattutto una delle massime studiose delle avanguardie artistiche, del Futurismo soprattutto, ed anche una delle più grandi collezioniste di opere futuriste.
In proposito, è opportuno sottolineare che tra le molte, diversificate facce e sfaccettature del movimento, sono da evidenziare, oggi, quando sono finiti i tempi dell’oscurantismo comunista contro l’importante movimento italiano, le presenze femminili ed anche quelle dei diversi intellettuali di sinistra fautori del Futurismo.
Mentre Modena, non aveva un albo di artisti futuristi, una città come Torino, aveva addirittura case editrici ed intellettuali (anche comunisti) aderenti al Futurismo. Basta ricordare i libri pubblicati dalle “Edizioni dell’Istituto di Cultura popolare”, in particolare il titolo “Dinamite Rosso+Nero. Poesie proletarie”, pubblicato dai soviet torinesi, cui aveva aderito anche Antonio Gramsci, che aveva individuato nel Futurismo il movimento più adatto alla rivoluzione proletaria e antiborghese.
Ciò in contrapposizione con la lotta oscurantista del comunismo italiano e dei cosiddetti intellettuali di sinistra, per decenni, contro il Futurismo, visto e considerato solo per i suoi presunti legami con Mussolini e il Fascismo. Non si teneva conto della natura non monolitica del movimento, natura che è sempre stata percorsa da una vivace dialettica interna, grazie all’autonomia intellettuale di artisti come Luigi Russolo, che diventa antifascista, o come Boccioni orientato più a sinistra che a destra.
Lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco (autore anche del “Cabaret Voltaire”), tra l’altro, scrive: “In Italia la cultura marxista più retriva ha messo in dubbio persino i filosofi presocratici, considerandoli antesignani del pensiero negativo. Come per Ezra Pound, oggi, assistiamo alla rivalutazione del Futurismo, dopo che per anni ci hanno annoiato con le scoperte della transavanguardia. Ci rendiamo conto soltanto adesso che il Futurismo è stato il maggiore movimento culturale italiano assieme al Rinascimento. Certo, ebbe anche una valenza politica”.
Secondo uno dei massimi studiosi ed esegeti del Futurismo, Giovanni Lista, questo movimento rivoluzionario è “l’opposto del Fascismo” e i futuristi, lontani dalle idee e dalle scelte ideologiche del Fascismo, si sono fatti “intrappolare venendo a patti, non con il Fascismo, ma con il regime”. In proposito, desidero ricordare un aneddoto relativo al pittore e pubblicitario modenese Mario Molinari: questi lavorava per allestire tutte le manifestazioni artistico-culturali, le Fiere del Libro, che si svolgevano, nella nostra città, negli anni compresi tra il 1923 e il 1945. Ma m
ai ha indossato la camicia nera di ordinanza. Per cui, veniva spesso ripreso verbalmente dai “gerarchi” modenesi. Fino all’aprile 1945, quando venne convocato presso la sezione del Partito fascista, “Gino Tabarroni” e messo sotto processo per non avere mai indossato la camicia nera, pur lavorando per il Partito. A fine requisitoria, Molinari, alternando l’italiano con il dialetto modenese, precisò che erano quattro fratelli e in casa avevano solo una camicia nera e concluse “quella mattina si è alzato prima mio fratello Gino. Vi giuro che, la prossima volta mi alzo prima io ed indosso la camicia nera”. Non fece in tempo, in quanto il Fascismo finì.
Come accennato sopra, non si teneva conto dell’importanza che questo rivoluzionario movimento aveva assegnato alla donna. Con il “Manifesto futurista della lussuria”, della “superfemmina” Valentine de Sain Point, con donne intellettuali come Eva Kuhn, moglie di Giovanni Amendola, antifascista e martire, nel 1926, e madre di Giorgio, il futuro leader del P.C.I. . Era legata a Marinetti e si votò alla causa futurista, come Rosa Rosà che, infatuata dal movimento rivoluzionario, ha abbandonato il tetto coniugale per seguire i futuristi in Italia, con artiste come Barbara, Benedetta (è stata la moglie di Marinetti) e la bolognese Maria Goretti.
Le donne futuriste hanno, però, avuto un limite: quello di non formare un gruppo compatto. Questo limite è stato condiviso da molte città di provincia italiane (non solo da Modena). Il Futurismo, infatti, presentato e promosso a livello mondiale, a Parigi, con il Manifesto pubblicato sul quotidiano “Le Figarò”, il 20 febbraio 1909 (era stato già pubblicato, il 5 febbraio 1909, ma con pochissima risonanza, dal quotidiano “La Gazzetta dell’Emilia” di Bologna), in Italia, ha avuto fortuna e raccolto molti proseliti in città come Roma, Milano, Firenze e Bologna e, tra quelle di provincia, a Ravenna e Ferrara. Anche se il “Manifesto” canta la magnificenza di “una bellezza nuova. La bellezza della velocità” e, se prosegue “Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante “.
Il Futurismo a Modena
Modena, da sempre considerata terra di motori e capitale dell’automobilismo e del motociclismo da competizione, ha accolto con cautela e con sospetto quel movimento artistico-culturale rivoluzionario (è una contraddizione, così come “le due anime di Marinetti”, che, “in tutta la sua vita, il cantore futurista del progresso tecnologico e della nuova civiltà delle macchine ha guidato solo un’automobile per poco più di un chilometro, finendo fuori strada”, scrive Giovanni Lista).
I motivi sono diversi. Quelli principali, a mio avviso, derivano dal fatto che la nostra civiltà contadina ci ha portati ad essere cauti e sospettosi nei confronti delle idee rivoluzionarie del Futurismo. Lo scultore Marino Quartieri, ha commentato : “il pubblico modenese partecipa divertito ma non si lascia convertire dai futuristi”
Un secondo motivo può derivare dalla mancanza di facoltà umanistiche, allora, nella nostra città.
Ugualmente il Futurismo è stato presente a Modena e provincia. Va ricordato anche che la nostra città ha dato i natali ad Enrico Prampolini, che è stato uno dei protagonisti del primo e secondo Futurismo.
Le prime, documentate presenze del Futurismo a Modena, risalgono al gennaio 1912 quando l’impresario teatrale Umberto Vaccari invita Filippo Tommaso Marinetti e questi aderisce. Al Teatro Storchi, nel giugno 1912, il grande guru del Futurismo presenta il suo “scoppiatore”, che è uno strumento destinato a formare l’orchestra futurista ed è l’antesignano dell’ “intonarumori” di Luigi Russolo. Come raccontano i giornali modenesi, la serata è stata caratterizzata da violente contestazioni e sonore risate di scherno.
Solo nel 1916, e grazie al passaggio sul cielo della città di un dirigibile, Modena torna a parlare di Futurismo. Ma è il poeta di Finale Emilia Piero Gigli, “uomo di battaglia e di partecipata giovanile passione” che, conosciuti Massimo Bontempelli, lo stesso Marinetti, diviene poeta futurista, con le sue “parole in libertà” e le “tavole parolibere, sulla rivista “Italia futurista”. Si trasferisce a Milano, nel covo delle nuove esperienze futuriste, poi a Genova, a Bologna (dove conosce e frequenta Riccardo Bacchelli) e a Firenze, dove frequenta Conti, Rosai, Soffici, De Chirico. Dopo avere pubblicato, con successo, sue opere su “Italia futurista”, sulla “Nuova Antologia” e poi su “Solaria”, rientra a Finale Emilia, si sposa e conclude la sua esperienza futurista (anzi, negli ultimi anni, Piero Gigli ha composto bellissime poesie in dialetto. In ciò e con ciò, si può accomunare al pittore, cartellonista e pubblicitario Mario Molinari, che, pur restando sempre “innamorato” del Futurismo, negli ultimi anni della sua vita e attività, si è dedicato –con successo anche commerciale- alla satira, alle vignette umoristiche ed ai suoi dipinti ad olio e a tempera, dedicati alla Modena “fin de siecle”).
Solo dopo la prima guerra mondiale, Modena ha artisti che aderiscono al Futurismo, credendoci. Si tratta dei pittori Mario Molinari e Gino Pedron, del poeta Alfonso Bossetti e dei fotografi Romeo e Umberto Baraldi. A questi, sarebbe da aggiungere anche l’architetto Pucci, in origine fascista, poi affermatosi come urbanista ed architetto comunista, nel secondo dopoguerra ( ha assolto anche alti incarichi politici e istituzionali, compreso quello di Assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Modena), che ci ha lasciato interessanti opere di architettura (alcune discutibili e discusse). Così come occorrerebbe aggiungere il pittore futurista (“per diletto”) Ciro Cantimori, figlio del preside del Liceo classico “L.A. Muratori” di Modena, amico di Mario Molinari. Trasferitosi prima a Roma poi in Africa, interrompe la sua militanza futurista. Occorrerebbe aggiungere il grande intellettuale ed editore modenese Ugo Guandalini (trasferitosi poi a Parma come Ugo Guanda), lo scrittore Antonio Delfini e Guido Cavani, il futuro autore di “Zebio Cotal”. Ma la loro è stata un’adesione artistico-culturale, limitata
nel tempo e mai diventata militanza. Pertanto, i soli, veri futuristi modenesi (se si esclude il “gigante” Enrico Prampolini, che è nato a Modena, ma non ha mai operato nella nostra città) sono il poeta Alfonso Bossetti di Fanano, il poeta finalese Piero Gigli (sopraricordato) e i pittori Mario Molinari e Gino Pedron. Bossetti è autore de “Il Poema del Sottobosco. Psicolibero in Parolibere”, nel quale anticipa una difesa ecologica della natura. Gino Pedron è autore di “composizioni geometriche sintetizzate nelle forme e nel linguaggio cromatico”, come le opere “Interferenze aerointerplanetarie”; “Raccoglimento mistico” e “Danza dinamica”. E’ stato un buon pubblicitario, spesso operando in collaborazione ed appoggio a Mario Molinari, che ha interpretato al meglio i nuovi canoni comunicazionali e della rivoluzione del design e della cosiddetta “rèclame” del Futurismo. Gino Pedron (nato e vissuto nel mitico Palazzo San Donnino, in quanto figlio naturale del proprietario. Il cognome Pedron era della madre), sposatosi, si è trasferito a Riccione, dove ha intrapreso l’attività di imprenditore turistico, con la famiglia della moglie. Invitando, per anni, l’amico Mario Molinari : durante i mesi estivi, curavano gli allestimenti e le forme pubblicitarie delle famose feste del “Savioli” di Riccione.
Per cui, l’unico che sempre, per vocazione, per cultura e per stilemi stilistico-comunicazionali, è stato un pittore futurista, è stato Mario Molinari, conosciuto ed apprezzato anche come cartellonista-pubblicitario, come caricaturista-umorista e cantore di Modena e delle sue genti.
Come pittore futurista, ha partecipato a diverse mostre in Modena, in Italia ed anche all’estero. Invitato a rappresentare l’Italia in Tripolitania, a rappresentare il Futurismo modenese alle mostre che si svolgevano nelle diverse città d’Italia, a Roma, Milano e Torino soprattutto (al tour iniziato dalla “Galleria Pesaro” di Milano, ha partecipato con il quadro scelto da Marinetti, “Anima va nel cosmo”. A fine tour, il dipinto era del tutto diverso, deturpato dagli sputi dei visitatori che esprimevano il loro disprezzo e scherno per il Futurismo).
A Modena, ha più volte, partecipato alle varie esposizioni della “Mostra del Futurismo”, alla “Società Operaia”;in Piazza Grande al “Carro dei Tespi”, alle diverse edizioni della “Fiera del Libro” (tra cui, quella nel Parco Regina Margherita ed attorno al Teatro Storchi, che ha visto la presenza, il 10 maggio 1935, del Principe Umberto di Savoia e della Principessa Maria Josè di Piemonte, per il “Carosello storico” e per le celebrazioni del Terzo centenario di Alessandro Tassoni, per le quali Mario Molinari ha curato anche il manifesto e tutto l’allestimento scenografico, così come facevano gli artisti del Rinascimento, come Bernardo Buontalenti e Giulio Romano).
Tra le sue opere, tutte del secondo Futurismo e riconducibili all’aeropittura e alla pittura polimaterica e cosmica, create tra il 1923 e il 1938, ricordo soprattutto “L’Astronauta”, “La gemma dell’antropozopico”, “La più bella donna del mondo”, “Il Nocchiero”, “Palpito spettrale”, “Desiderio di spazio senza tempo” e “Maternità aerea” (ispiratogli dai viaggi aerei in Tripolitania e dalla visione dall’alto dei paesaggi africani). Ma Molinari è stato futurista sempre, fino all’ultimo (negli ultimi anni di vita, le sue opere di ispirazione religiosa –come “Il battesimo di Cristo”, “Il missionario”, e diversi dipinti e mosaici dedicati al Protettore di Modena, San Geminiano). Anche se è stato apprezzato e richiesto come disegnatore , come umorista-caricaturista (di uomini antropomorfi e di un suo bestiario speciale fatto di esseri spiritosi e che esprimevano simpatia, come il suo “canarino” e tutti gli animali del ricco repertorio sportivo, calcistico soprattutto), è rimasto sempre futurista. Così che, nel 1956, quando con gli amici e sodali (insieme hanno interpretato per due decenni la storia del giornalismo modenese, sia quello d’informazione sia quello sportivo, sia quello umoristico e satirico, anticipando, per la carta stampata, la formula di “Striscia la notizia”),Luigi Cavicchioli, Arrigo Levi, Remo Lugli, Emilio Micheletti, Angiolo Silvio Ori, Bruno Urbini e Guglielmo Zucconi, ha allestito, al Teatro Storchi, la commedia di Calvino, “Così ce ne andremo”, la scenografia è stata all’insegna degli stilemi espressivi del Futurismo.
Cronache futuriste modenesi
Modena, soprattutto negli anni compresi tra il 1927 e il 1934, ha avuto diverse visite del fondatore e guru del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti ed ha ospitato alcuni “caldi” incontri dedicati alla cucina futurista che, “nella sua esplosione sensoriale di immagini, suoni, profumi e sapori”, ha anticipato la nouvelle cuisine di Paul Bocuse, la grande cucina di Gualtiero Marchesi, come del modenese Massimo Bottura, di Massimiliano Alajmo di Ribano di Padova e Vincenzo Esposito , chef e patron del Ristorante “Torre del Saracino” a Vico Equense di Napoli.
La cucina futurista che si proponeva “lo scopo alto, nobile e utile di modificare radicalmente l’alimentazione della nostra razza, fortificandola, dinamizzandola e spiritualizzandola con nuovissime vivande”, prevedeva l’impiego di verdure e frutta, “ricette capaci di eccitare la fantasia prima di tentare le labbra”, con piatti-spettacolo, che sublimano la magia delle forme e dei colori.
Tra le visite documentate di Filippo Tommaso Marinetti, a Modena, ricordo quella dell’aprile 1927, per la rappresentazione, al Teatro Storchi, dell’opera di Marinetti, “I prigionieri e l’amore”. Fischi, urla e schiamazzi a non finire. Le contestazioni si ripetono nel 1930, per il “Raduno di tutti gli artisti e artigiani dell’Emilia-Romagna” (scrittori, musicisti, pittori, scultori, architetti, decoratori ecc), organizzato da Ugo Guandalini: dalla Sala del Fuoco del Palazzo Comunale, Marinetti, con Guandalini, Antonio Delfini e il Podestà, devono “fuggire” da una porta a muro. Sembra (dai giornali locali) che fossero soltanto sei, divenuti nove, i contestatori.
Sempre nel 1930, invitato a parlare all’Università, sviluppa il tema de “Il mio viaggio in Sud America. La letteratura d’avanguardia brasiliana e argentina”. Ottiene vere e pro
prie ovazioni da parte del numerosissimo pubblico presente, tra cui Mario Molinari, che ha concorso ad organizzare la visita, così come organizza, con l’amico pasticciere futurista reggiano Pino Garavelli, la successiva visita del dicembre 1930, con una cena all’insegna della cucina futurista. Il geniale pasticciere reggiano Pino Garavelli prepara la sua “Autotorta etiopica mista” (autotorta in quanto inventata e sperimentata mentre era su un autocarro in marcia in Etiopia, mista perché faceva parte dell’autoreparto misto).
Il 1930 è stato anche l’anno di massimo successo dei fotografi modenesi Romeo e Umberto Baraldi, che partecipano al “Primo Concorso Fotografico Nazionale” di Roma, organizzato dal famoso Tato e si affermano soprattutto per le loro fotografie pubblicitarie e i loro ritratti futuristi.
In questa alternanza di fischi e ovazioni, Filippo Tommaso Marinetti, che amava la sfida e la provocazione, il 19 giugno 1931, al Teatro Storchi, in occasione della rappresentazione di “Simultaneità”, sedici sintesi di Marinetti, “il guru del Futurismo fu sonorosamente fischiato e contestato”.
Nel 1934, invece, in occasione di una mostra futurista al “Circolo Letterario” e di una serata al Teatro Comunale, Filippo Tommaso Marinetti è stato nuovamente applaudito e osannato.
Naturalmente, è seguita una cena futurista, sempre voluta e organizzata da Mario Molinari e dal reggiano Pino Garavelli (che aveva un’ammirazione viscerale per Marinetti. Al punto da seguirlo in ogni luogo, se invitato).
Nella primavera del 1938, al Teatro Comunale, la declamazione de “Il bombardamento di Adrianopoli” è accompagnata da tafferugli e pugni.
La cucina futurista a Modena
Per ritornare alla cucina futurista, ricordo che il “Manifesto della cucina futurista” è del 20 gennaio 1931 (lanciato, anche questo, da Parigi, sulla rivista “Comoedia”), bandiva la pastasciutta, la forchetta e il coltello (da abolire come ultima trincea del passatismo, per avere anche un piacere tattile prelabiale. In ciò e con ciò, la cucina futurista si ricollegava al nostro Rinascimento, che privilegiava frutta e verdure, il dolcesalato. In proposito, ricordo che già un medico del ‘500, Giovanni da Vigo, si era scagliato contro la pastasciutta. Questa da molti futuristi era considerata di “origine ostrogota”, non adatta come “cibo dei combattenti”. Per contro lo scrittore modenese Paolo Monelli –che è stato anche un raffinato “gourmet”- nella sua difesa della pastasciutta la dichiara “l’ideale vivanda dei combattenti”), aboliva la politica a tavola.
Privilegiava, invece, l’uso di profumi (per favorire la degustazione, ogni vivanda era preceduta da un profumo, che veniva poi cancellato dalla tavola, con ventilatori), l’uso della poesia e della musica come ingredienti per accendere, con la loro intensità sensuale, i sapori di ciascuna vivanda . Per quanto riguarda la musica, i futuristi suggerivano di limitarne l’uso agli intervalli tra una vivanda e l’altra (perché non distraesse la sensibilità della lingua e del palato). Ricorreva alla presentazione rapida tra ogni vivanda, alternando vivande che si degustavano ad altre che non si mangiavano, “per favorire la curiosità, la sorpresa e la fantasia”, unitamente alla creazione-offerta di bocconi da degustare simultaneamente, che contenevano venti e più sapori da gustare velocemente.
Coerente con il gusto per la spettacolarizzazione, una cura particolare era dedicata alla “tavola imbandita” e all’estetizzazione della vivanda, che deve accontentare la vista, il gusto, l’olfatto e l’udito, insieme.
Così i tavoli sono ricoperti da tovaglie raffinatissime, di lino o di seta, create con le “paroleinlibertà” di Marinetti e con “tovaglioli da leggere”, con fiori di metallo policromo. Ciò accadeva alle cene futuriste allestite alla “Taverna del Santopalato” di Torino –famosa una cena dell’8 marzo 1931 – o alle mitiche “Giubbe Rosse” di Firenze o al “Caffè San Pietro” o al “Zanarini” di Bologna.
A Modena, le cene futuriste da ricordare sono “andate in scena” al Teatro Comunale (nel 1931) e al “Ristorante-Caffetteria Boninsegna” (che ha ospitato almeno tre cene futuriste, negli anni 1932, 1934). Era un locale estremamente raffinato, con un arredamento passatista, tutto vetrate e legno.
Può essere collegato ai famosi caffè letterari di Bologna, Ferrara, Firenze, Milano, Napoli, Padova, Parma, Roma, Torino, Trieste e Venezia, conosciuti come templi dell’arte e della cultura.
Anziché da tovagliati raffinati, in lino o seta, i tavoli erano rivestiti da carte argentate, che, nella fantasia futurista, dovevano essere di alluminio, con una lastra di latta lucente, che fungeva da sottopiatto. La cena era accompagnata da cilindri da motocicletta promossi al rango di motori aviatori, per dare l’illusione, la sensazione e le emozioni della velocità e del volo aereo.
Un menù tipo, creato ed offerto a Modena, al “Ristorante Caffetteria Boninsegna”, l’11 dicembre 1931, presente Filippo Tommaso Marinetti (che, otto mesi prima, aveva tenuto a battesimo la cucina futurista, alla “Taverna del Santopalato” di Torino) , si apriva con un aperitivo “inventina polibibita futurista” (a base di Asti spumante, liquore di arancio e ananas. Una delle battaglie del Futurismo fu combattuta contro l’uso di parole straniere, per cui cocktai
l come drink erano ribattezzati “polibibita” appunto), proseguiva con l’ultravirile (lingua in gelatina guarnita con code di gamberi su disco di uova, con cornice di fragole naturali), con il vitello ubriacato (carne di vitello destrutturata e riempita a crudo con mele sbucciate, noci, pinoli in bagno di spumante), con carneplastico (vera composizione architettonica –ricorda quelle dello “scalco” di Casa d’Este, Cristoforo da Messisbugo- . E’ una ricetta del futurista Fillia: una vera interpretazione sintetica degli orti, dei giardini e dei pascoli d’Italia, che presentava una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita, ripiena di undici diverse qualità di verdure cotte. Il cilindro, disposto verticalmente, nel centro del piatto, era incorniciato da uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia, che posa su tre sfere di carne di pollo.
Ricordo, in proposito, una gustosa tavola umoristica di Mario Molinari, pubblicata da “La Settimana modenese”, il 12 dicembre 1931.
Mario Molinari che, ripeto, anche quando era futurista, non dimenticava di essere un vignettista-caricaturista. Così come non dimenticava il suo amore per la bellezza della donna (soprattutto delle donne callipigie e dalle lunghe gambe).
Mentre il Futurismo celebra la vittoria della “donna maschio”, anticipando gli anni Ottanta, con l’affermazione della moda femminile “corazzata”, dalle ampie e protette spalle, anticipando –nei tipici corsi e ricorsi storici- i nostri giorni, con la “mascolinizzazione della donna”, con la donna manager (qui si dovrebbe fare una lunga digressione sulla moda, che è stata una delle grandi scoperte culturali del Futurismo), Mario Molinari, invece, esalta le proporzioni corporee, l’armoniosa composizione di forme sensuali, che incantano, seducono e, spesso, eccitano i sensi.
Specialmente quando è dipinta nuda, prepotente in tutta la sua forza prorompente, mitigata dall’ironia, dalla vocazione per il particolare, dall’umorismo). Questa tavola, intitolata “L’arrivo di Marinetti a Modena. Col carneplastico. Ecco l’elastico, Nuova Eccellenza-Dinamico-Eclettico/ Forza ultraelettrica/ Arte+Scienza”
E’ una tavola che si ispira ai principi futuristi all’insegna dell’ ottimismo a tavola, della creatività, della fantasia, dell’armonia tra forma, colori, profumi e sapori. Così che la cena era uno spettacolo completo, per tutti i sensi.