Esso è la casa di tutti: il cittadino milanese lo frequenta con un sentimento che non può non dirsi familiare, e che non è quello del cittadino romano che entri in San Pietro, basilica più reggia che casa. Il valore spirituale del Duomo sta appunto in gran parte nel fatto che esso consente, a chi vi entra, di non aver la sensazione di aver var cato i confini di un mondo troppo spirituale differente dal suo mondo quotidiano. Il Duomo, o meglio l’atmosfera del Duomo, incute rispetto e devozione, ma non «schiaccia» l’individuo, non lo obbliga a pro strarsi, non lo confonde e non gli impone un senso quasi panico di smarrimento morale. In fondo, se ben lo si osserva, il Duomo ha l’aria, a chi vi entra, di un edificio al cui termine si debba trovare un foco lare domestico, e non solamente un trono, che resta sempre tale an che se da esso viene l’assoluzione. C’è – non bisogna dimenticarlo – una sottile differenza sentimentale tra l’assoluzione e il perdono. È bello che l’atmosfera segreta del Duomo sia, effettivamente, quello di un familiare e quasi materno perdono.
Esso è una delle poche grandi basiliche del mondo che non cu stodisca capolavori insigni. Fra tante chiese museo, il Duomo non è un museo. Tutta la sua forza sta nelle sue architetture, e in quelle che si potrebbero chiamare gli arazzi luminosi delle vetrate. La sua costruzione durava ancora quando i grandi pittori e scultori avreb bero potuto decorarlo, ma in quei secoli d’oro il Duomo era ancora un cantiere, che i cittadini dei rioni viciniori attraversavano con il cappello in testa per andare da un mercato all’altro. Più tardi, quando l’interno fu compiuto, l’opera barocca e la statuaria settecentesca non furono chiamate ad «abbellire» la stupefacente vertiginosa nudità marmorea delle pareti. Solo i ragazzi credono che la statua del San Bartolomeo scorticato di Marco d’Agrate sia un capolavoro; e di scuola in scuola tramandano la leggenda che «gli americani hanno molte volte offerto di comprarla al suo peso d’oro». La chiesa si è difesa dalle minacce del cattivo gusto del Settecento e dell’Ottocento grazie alla maestà invidiabile e assoluta del suo interno, compiuto at traverso un lavoro di secoli senza mutare una linea del disegno ori ginario. Essa ha la maestà dei pensieri più nobili dei vecchi laboriosi lombardi che ci hanno preceduto nei secoli: una maestà familiare e senza ombre di feudalesimo.
Il Duomo — dove pur sono così rari i battesimi, gli sposalizi e i funerali, e cioè le occasioni rituali per le celebrazioni dei sacramenti familiari — è la chiesa più «familiare» di Milano. Oserei dire, per sino, che la gigantesca chiesa è estremamente bonaria. Vi sono stati incoronati degli imperatori, vi sono entrati i cavalli e i carriaggi ar mati di Radetzky, la storia ha battuto infinite volte alle sue porte, ma il Duomo è rimasto, come era stato concepito al tempo dei tempi la grande casa domenicale e festiva dei milanesi. Le messe del Duomo non sono «mondane» come quelle di San Giuseppe o di San Raf faele: esse sono le messe delle famiglie che usano addirittura, ogni domenica,
convenendo dagli opposti quartieri della città, ritrovarsi in Duomo, e lì,sul limitare, scambiarsi notizie e consigli. Non disdice dopo la messa, recarsi con i ragazzi, alle vicine pasticcerie a comprare il panettone, mentre i mariti prendono il bitter.
Nell’animo dei ragazzi il Duomo rappresenta qualcosa di festoso, oltre che di religioso: rappresenta il «centro», come appunto al centro della città più «centralista» d’Italia sta la grande chiesa. Per questo l’affetto per il Duomo ha lontane radici nel cuore dei milanesi: le radici, appunto, dei sentimenti infantili. Le mamme e le nonne spiegano che, accanto a quella colonna o a quel tale candelabro, esse andavano da bambine. II pavimento della grande chiesa sembra segnato nei segreti dei marmi dall’impronte del passaggio di tutti i nostri vecchi. Certe famiglie, per tradizione, continuano da secoli, così, a ritrovarsi, alla domenica, senza spostare di un metro, accanto a un certo pilastro; e se trovano occupato il loro tradizionale metro qua drato, tanto fanno che, pian piano, si fanno cedere il posto.
Orio Vergani
Il Corriere della Sera – mercoledì 24 settembre 1952
Il Duomo di Milano esercita un fascino così profondo sull’animo dei milanesi perché, nell’austera sobrietà del suo interno, esso racchiude un’atmosfera di famiglia che ne fa “”la casa di tutti””, tanto che alla domenica vi convergono i milanesi d’ogni quartiere, per un rito che è religioso e insieme familiare. La de scrizione, che è condotta con nitidezza e vivacità, tradisce l’amore che l’Autore, da buon milanese, porta al suo Duomo come al centro e al simbolo della città.