Il dialetto che male ti fa? Dai, andam a vegg!

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Difendendo il dialetto si valorizza la cultura del nostro DNA, i suoni e le parole che danno senso ai luoghi, alle cose, alle persone della nostra terra. Eppure può fare male il dialetto, quando viene usato per contrapporre e non per unire, per creare una gerarchia fra le culture, per negare l’altro e la sua valigia del cuore. Quando la politica usa il dialetto come una clava, allora fa male e diventa una lingua da barbari.


Nei Frammenti Postumi, Friedrich Nietzsche annota: “In linea teorica non si deve dare più ascolto alle persone che lamentano la fine delle tradizioni popolari (nei costumi, nella morale, nei concetti giuridici, nei dialetti, nelle forme di poesia, e così via). Proprio a questo prezzo ci si innalza al sopranazionale, agli scopi generali dell’umanità, al sapere radicale, alla comprensione e al godimento di ciò che è passato e non è familiare: insomma, proprio così si smette di essere barbari”. Io credo invece che si smetta di essere uomini e si diventi massa, tutti uguali.

 

Preferisco Luigi Meneghello quando scrive: “Ci sono due strati nella personalità di un uomo; sopra, le ferite superficiali in italiano, in francese, in latino; sotto, le ferite antiche che rimarginandosi hanno fatto queste croste delle parole in dialetto”.

 

E allora, difendendo il dialetto, che male ti fo? Che vuol dire poi difendere e valorizzare la cultura del nostro dna, i suoni e le parole che danno senso ai luoghi, alle cose, alle persone della nostra terra.

 

Eppure può fare male il dialetto, quando viene usato per contrapporre e non per unire, per creare una gerarchia fra le culture, per negare l’altro e la sua valigia del cuore. Quando la politica usa il dialetto come una clava, allora fa male e diventa una lingua da barbari.

 

Posso suggerirvi un incontro con il dialetto, anche se faticate a capirlo?

 

Sabato 28 luglio, a Fiorano, in occasione della Fiera, dopo la cena generazionale (prenotazioni nel negozio di Laura, in centro € 18, i bambini € 10 e incasso alla parrocchia, si mangia in piazza) ci sarà una serata di ‘Andam a Vegg’, un’avventura iniziata nel 2017 come serata unica e poi diventata un appuntamento mensile, nel cinema o nelle piazze perché conta su un pubblico da 200 a 400 persone ogni volta. Si va davvero a vegg, come si faceva una volta nella stalla. Si sta insieme, si parla un po’ dialetto e un po’ italiano, si ride, si canta, si suona. Ci sono ospiti che portano racconti o canzoni. Insomma si passa una serata in allegria, guidati dal giornalista Luigi Giuliani e da Giuliana Cuoghi, oltre che da un gruppo di Fioranesi e Spezzanesi, grazie all’impegno dell’Associazione Fiera di San Rocco e dell’Amministrazione Comunale.

 

In ‘Andam a vegg’ il dialetto è il trampolino per tuffarsi nella cultura popolare, nella storia, nelle tradizioni, nei mestieri della comunità fioranese e di quella spezzanese, senza alcuna contrapposizione con il presente. Anzi, serve proprio a capirlo, questo benedetto presente, a dirci perché Fiorano è diventato così come è oggi, pregi e difetti.

 

‘Andam a vegg’ vi aspetta in piazza a Fiorano sabato sera, ma potrete trovarlo pure a Spezzano sia il 14 che il 15 agosto, due serate in occasione della Fiera di San Rocco.

 

Poi, lo confesso, a Fiorano ci sarò anche io, per presentare la mia raccolta. ‘Cinquanta pensierini cinque anni dopo’. E’ la sede ideale, perché io stesso ho definito i miei pensierini un bicchiere di ‘vin sutil’, che d’estate si può bere volentieri, non un barolo, neanche un lambrusco ma una lettura leggera, facile, che alla fine si può sorseggiare o anche bere in un colpo solo, perché scivola giù, spero, gradevole.

 

Ma dietro al vin sutil c’è una cultura popolare che non sprecava niente dell’uva, come di ogni altra cosa, che sapeva come godere del poco, ci sono la fatica e il lavoro. Magari i miei pensierini avessero dentro di se così tante cose!

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