Il beotone

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Il Conte Ugolino in questa nuova raccolta di scritti tratterà argomenti talvolta lievi come piume (Levia), talaltra grevi come macigni (Gravia).

“Tedescone”, talvolta si usa dire in parte per indicare la stazza, in parte per esprimere sottile ironia:

          Hai visto quel tizio seduto al bar?

          Chi? Quel tedescone?

L’accrescitivo l’ho sentito usare in una storiella meneghina anche per i Francesi:

          … questi Francesoni sì che si capiscono bene!

Racconto la storiella, peraltro assai nota, a coloro che non la conoscessero:

Un fruttivendolo in attesa di clienti staziona beato e rubicondo sulla porta del proprio negozio di via Speronari a Milano, scrutando ora i passanti, ora la mercanzia esposta in bella mostra nelle cassette. Una coppia di turisti francesi, attratta da un gran bel cesto di noci, si rivolge al fruttivendolo chiedendo:

          Comment s’appellent?

          Se pèlèn no, se pèsten o se schiscen –  (non si pelano, si pestano o si schiacciano) risponde sorridendo l’ortolano..

          Comment? – Chiede disorientato il signore francese.

          Ahhh, cui man o cui pè, cum’el vör lü – (ahhh, con le mani o con i piedi, come vuole lei) ribatte il brav’uomo,  franco come una torre.

          Je ne comprend pas! – dice sconsolato il francese.

          Ah beh! S’el vör minga cumprai, chi e lassa stà! (Ah beh! Se non le vuole comprare, le lasci lì!)

Poi, rimuginando fra sé, conclude trionfante:

          Chi Francesun chì sì che se capissen ben, alter che i Tugnitt! (Questi Francesoni sì che si capiscono bene, altro che i Tedeschi!).

Partendo da queste lievità, mi sono chiesto quale potesse essere l’accrescitivo di “beota”, l’innocente abitante della Beozia: non l’ho mai sentito dire né l’ho mai letto, tuttavia credo che “beotone” possa essere accettato.

 

La Stampa [1] ha recentemente pubblicato la prefazione del sublime Odifreddi ad un volume scritto da tale John Allen Paulos, di professione matematico. Il volume tratta di una questione “lieve e di poco conto”: come dimostrare logicamente l’inesistenza di Dio.

L’eccelso Odifreddi ha subitaneamente colto l’occasione per offrire un piccolo estratto della sua suprema intelligenza ed ha iniziato l’elaborato mentale così:

È possibile dimostrare l’affermazione che «Dio non esiste»? Certo, e molto facilmente! Consideriamo infatti quest’altra: «Questa affermazione e la precedente sono entrambe false». Se essa fosse vera, dovrebbe essere falsa (insieme alla precedente), perché è appunto ciò che dice. Questa contraddizione dimostra che la seconda affermazione non può essere vera, e dunque dev’essere falsa. Ma allora è vero il contrario di ciò che dice, e le due affermazioni non possono essere entrambe false. E poiché abbiamo appena dimostrato che la seconda lo è, la prima affermazione dev’essere vera: dunque, Dio non esiste. …”.

Non proseguo, sia per evitarvi un attacco acuto di cefalea, sia perché sarebbe inutile: qualsiasi studente liceale a fronte di cotanta ineffabile logica liquiderebbe la questione applicando la medesima proposizione al geniale autore del sofisma, sì da renderlo inesistente: “È possibile dimostrare l’affermazione che «Odifreddi non esiste »? Certo, e molto facilmente! Etc. etc.” .

Il geniale prefatore, tanto colto quanto modesto, accortosi peraltro della lampante fallacia insita nel suo prodotto mentale, non trova di meglio, per arginare l’onda di melma, che appellarsi ai grandi della filosofia, elencandone qualche nome e citando qualche titolo fra le loro opere. Non è dato di sapere se egli abbia letto tali opere e quanto le abbia comprese, tuttavia prendiamo atto del fatto che ne conosce l’esistenza.

Stefano Zecchi [2] , estasiato, dopo avere letto la profonda prefazione ha scritto circa il prefatore:

L’ultimo atto tracotante dell’impenitente Piergiorgio Odifreddi: liquidare in 4 paginette il problema millenario di tutte le civiltà. Vuole scalare le vette del pensiero, ma non ha la profondità dei grandi filosofi, né l’ironia di un Russell e neppure una penna brillante.” [3]

Non credo sia stato generoso, da parte del prof. Zecchi, accostare “la profondità dei grandi filosofi” o “l’ironia di Bertrand Russell” al prodotto mentale dell’eccelso Odifreddi. Raffrontare il pensiero di Aristotele, Platone, San Tomaso d’Aquino, Dante, Pascal alla somma intelligenza di Odifreddi è quasi come comparare le sinfonie di Ludwig van Beethoven alle canzonette del Ragazzo della via Gluck, solo perché il Ragazzo sa dimenarsi bene e Christoph Willibald Gluck, cui è dedicata la via in cui è nato, fu un grande esponente del classicismo musicale.

Più oltre, il sublime professore di logica matematica, nella sua prefazione a proposito di noi credenti (egli intende naturalmente”credenti cristiani”), scrive:

Naturalmente, sarebbe comunque un eccesso di stima nei confronti dei credenti pensare che dietro alle motivazioni della loro fede ci siano sempre argomenti sofisticati: nella maggior parte dei casi, essi si riducono infatti a far appello a banalità che non vale neppure la pena di perder tempo a refutare.”

A proposito di stima rammento che altrove l’intelligentone ci aveva definito “cretini”, giocherellando sull’etimologia del termine.

Sarebbe fin troppo facile, restituire la cortesia impartendo all’eccelso Odifreddi qualche lezioncina circa l’etimologia di “idiota” o di “imbecille”. Non si correrebbe neppure il rischio della querela perché usando “l’inoppugnabile dimostrazione” della sua elevata prefazione si dimostrerebbe, sostituendo Odifreddi a Dio, che l’esimio professore non esiste, quindi non può compiere azioni di alcun tipo, neppure legali.

Ma questo significherebbe precipitare al suo livello e dare troppo credito a ciò che va scrivendo e dicendo.

Quindi, non ragioniamo di lui e passiamo oltre.

Ora mi rammento di avere iniziato questo lieve articolo un po’ sgangherato con la questione del “beotone”, ma non ne ricordo più
il motivo.

Provateci voi, per favore.



[1] La Stampa – 5 settembre 2008 : Dio? E’ inesistente – pag.31 http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=8726410

[2] Stefano Zecchi (Venezia, 1945) è professore ordinario di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano. Laureatosi con Enzo Paci discutendo una tesi sul pensiero di Husserl, dopo un periodo di specializzazione presso l’Archivio Husserl di Lovanio e in alcune università tedesche, ha insegnato presso le università di Verona e Padova.

[3] Il Giornale – 8 settembre 2008 : Dio non gioca con i matematici. http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=288434

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