di Alberto Venturi Il 25 Aprile, festa della Liberazione e della Resistenza, è in Italia da sempre motivo di divisione. Ben diverso è il senso dello stato dei Francesi, che orgogliosi festeggiano il 14 luglio, nonostante la Rivoluzione Francese abbia provocato due milioni di morti e sia stata definita dagli storici il ‘Periodo del terrore’; ben diverso è il senso dello stato degli Americani che festeggiano il 4 luglio l’indipendenza, nonostante la loro fosse una ben strana democrazia, incapace di riconoscere la dignità umana a chi aveva la pelle nera e capace invece di sterminare i popoli ‘pellerossa’. Ma in quelle nazioni si festeggiano i valori a cui le due rivoluzioni di sono ispirate, nonostante il cammino tortuoso per ottenerli e la fatica per tentare di realizzarli. In Italia invece ci ostiniamo a cercare gli errori commessi da chi ha combattuto per abbattere il fascismo e sconfiggere il nazismo, dimenticando che questa libertà di dissenso e di giudizio, ci viene proprio dalla Resistenza e dall’Italia Liberata che i nostri padri sono stati capaci di lasciarci in eredità, anche se, va ricordato il pensiero di Pier Paolo Pasolini, di come Mussolini & C non siano mai riuscito ad omologare culturalmente l’Italia, mentre il sistema democratico ci è riuscito in pochi decenni e senza apparenti strappi violenti, sostituendo a modelli e valori basati sulle realtà particolari e sulle identità differenti. Questo non inficia il ruolo storico avuto dalla Resistenza e dai padri della patria; eventualmente sottolinea come nulla possa essere dato per acquisito in modo definitivo ed ogni giorni debba essere ripensato, difeso, aggiornato. Giustamente la presidente Laura Boldrini si è rivolta ai partigiani durante la celebrazione alla Camera, definendoli ‘padroni di casa’ e non ‘ospiti’: “”Il nostro pensiero commosso va a coloro, per lo più giovani e giovanissimi, che sono stati uccisi, torturati, reclusi tra mille sofferenze e umiliazioni””. Giusto, ma a me piace ricordare anche tutti gli Italiani: militari, partigiani, civili che dopo cinque anni di terrore, nei quali la vita era un’opzione e il domani soltanto una speranza, hanno saputo tornare alle loro case e ricominciare una vita fatta di quotidianità e di lavoro. I partigiani hanno liberato l’Italia, ma gli Italiani hanno saputo farla ripartire, dandosi regole democratiche e una Costituzione impareggiabile. E gli altri? Quelli che hanno perso? Quelli che preferivano la dittatura, le discriminazioni razziali, la deportazione, gli assassini politici e che oggi continuano a rimpiangere un mondo di soprusi e di ingiustizia? Quelli che hanno creduto alla favola dei treni in orario, del progresso, conquistati da parate e da grandi coreografie mediatiche e vagheggiano un loro ritorno? Dovrebbero unirsi al coro di ‘Bella ciao’ perché i partigiani hanno garantito loro la libertà di dissentire e di contrastare la democrazia, seppure io mi chieda fin dove sia giusto tollerarli. |
di Gianni Galeotti Il ‘Bella Ciao’ cantato nell’aula di Montecitorio dai partigiani invitati “”non da ospiti ma da padroni di casa””, come specificato dalla Presidente della Camera, è apparso agli occhi di un paese sempre più disinteressato e sempre meno attento ai significati, semplicemente come un siparietto politicamente nostalgico; un siparietto che, sotto il profilo istituzionale, mi ha ricordato quello di due anni fa dell’allora Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che di propaganda già se ne intendeva e che, dopo aver preso parte alla cerimonia in piazza dell’Unità per la deposizione delle corone di fiori per il 68 esimo anniversario della Liberazione, ha cantato, facendosi ben sentire, la canzone della Resistenza “”Bella ciao””, entrando nella sede del Comune. Aveva cantato la canzone delle bandiere rosse anche l’altra camicia bianca, guarda caso mentore mediatico dello stesso Renzi, Giorgio Gori, in occasione della sua elezione a Sindaco di Bergamo. Nulla di stupefacente e scandaloso, se il Bella Ciao ci è scappato anche a Montecitorio, tantopiù da una rappresentanza di partigiani, gli unici a conoscerne, certamente più di altri che strumentalmente la canticchiamo, il significato. Episodi e contesti diversi ma uniti oltre che dalle note, anche dal fatto di essere utili ad innescare l’immancabile polemica del 25 aprile. E qui, per me, sta il punto. A Montecitorio sono state le presunte dichiarazioni del Presidente della Camera sulla presenza dell’obeliso dedicato al Duce allo stadio olimpico di Roma, che non andrebbe giù agli ospiti partigiani della Boldrini. Ma siamo certi che se non fosse stato per quello, sul Bella Ciao, e sul 25 aprile, una ‘bella’ diatriba si sarebbe comunque sviluppata. Questo perchè c’è una certa parte politica che ha voluto appropriarsi dei valori della resistenza e dell’antifascismo, generando, intorno ad essi, un sentimento di appartenenza ‘esclusivo’ e non ‘inclusivo’, connotato politicamente, e non patrimonio condiviso e fatto proprio dall’intera nazione. Negli ultimi decenni, i valori della Resistenza e della liberazione, con tanto di ‘Bella ciao’, sono stati, proprio per responsabilità di coloro o degli eredi di coloro che oggi la cantano facendo eco stonati ai partigiani che la canta davvero, spogliati della loro forza e dal loro essere elemento unificante e rappresentante di un’intera nazione. Se è vero come è vero, e come ha detto il Presidente della Camera Laura Boldrini, il 70° della liberazione è quello di rendere omaggio a chi ci ha dato la libertà, allora insieme ai partigiani dovevano essere rappresentati e ricordati gli alleati che contribuirono in modo determinante, con l’ausilio dei partigiani, a liberare l’Italia. E non si tratta di revisionismo, ma di verità. Una verità, quella sul ruolo degli alleati e sulla necessità di una memoria vera, a 360 gradi, e non a senso unico, confermata nei giorni scorsi dalle parole del Direttore dell’Istituto storico della resistenza di Modena, Claudio Silingardi, relatore della serata di presentazione del libro ‘L’ultimo lenzuolo bianco’ di Gino Malaguti. Un testo che spezza e getta un fascio di luce nel buio di una certa storiografia tutta orientata a celebrare solo l’epopea partigiana, escludendo dai fatti e cancellando dalla memoria il sacrificio di oltre 50.000 soldati delle forze alleate, offrendo così una prospettiva nuova e anche diversa nella lettura degli avvenimenti |