Fondi Gescal dirottati all’ Inps

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Articolo del febbraio 1996:

 

“”Duemila miliardi di entrate in piu’ nel 1996 e quasi 27 mila miliardi nell’ arco di 10 anni. A tanto ammonta il gettito aggiuntivo che gli enti di previdenza, pubblici e privati (non solo l’ Inps), incamereranno grazie alla trasformazione di una quota dei contributi Gescal in un aumento dei contributi previdenziali, cosi come ha stabilito la riforma delle pensioni. Prima della riforma i contributi Gescal erano a carico del lavoratore per lo 0,30% e del datore di lavoro per lo 0,70%. La riforma ha fatto confluire nei contributi previdenziali l’ intera quota a carico del lavoratore e meta’ di quella a carico del datore. L’ altra meta’ sostenuta dalle imprese continuera’ ad alimentare fino al 1998 (poi sara’ soppressa) i fondi Gescal, il cui ammontare complessivo, pari a 27 mila miliardi dal ‘ 78 a oggi, secondo la Cassa depositi e prestiti, e’ destinato a crescere ancora. I 27 mila miliardi sono stati tutti assegnati alle Regioni, o sono in via di assegnazione, da parte del Cer (Comitato per l’ edilizia residenziale) su indicazioni del Cipe. Tocca poi alle Regioni fare una revisione degli enti che devono avere i finanziamenti, cioe’ Iacp o eventualmente Comuni. Ma dall’ assegnazione dei fondi alla loro effettiva utilizzazione, il passaggio non sembra automatico.Tutti quei soldi sarebbero sufficienti a costruire una città da ottanta-centomila abitanti. Ma così non è. Anzi, così non è mai stato. Fino al 1994 il fondo, che allora, secondo una ricerca Eurispes, contava 21 mila miliardi complessivi, tutti assegnati, era stato utilizzato dalle Regioni, in favore di Iacp e Comuni, solo in parte, esattamente per il 63,4%. “”In realta’ del contributo era stata prevista la soppressione, con beneficio per il costo del lavoro, dal primo gennaio 1996. Poi, in sede di riforma, e’ subentrata l’ esigenza di compensare, con l’ aumento delle entrate, la scarsa propensione a fare tagli. Cosi’ il contributo ex Gescal . ha commentato Giuliano Cazzola, presidente del collegio dei sindaci dell’ Inpdap . va ad aggiungersi all’ aliquota pensionistica del 32%, determinando un livello di ritenuta che, nell’ insieme, raggiunge un poco invidiabile record mondiale””. Intanto, Emiliano Amato, consigliere di amministrazione dell’ Inps, ha sostenuto in un’ intervista all’ Adn Kronos che la riforma delle pensioni non e’ in grado di arrestare l’ emorragia dei conti pubblici. A suo parere, sul deficit della previdenza il governo ha adottato “”la politica dello struzzo””, scaricando sull’ Inps oneri non di sua competenza. Fatto sta che oggi il debito dell’ Inps verso lo Stato ha raggiunto i 166 mila miliardi.  E’ stata poi del tutto dimenticata, secondo l’ Eurispes, la sentenza 424 del 1995 della Corte Costituzionale per la quale “”non solo gli storni dei fondi sono incostituzionali””, ma dovranno essere anche rivisti i criteri di assegnazione degli alloggi da parte dei comuni visto il “”legame inscindibile”” stabilito dalla Consulta tra “”contributori e beneficiari””. Nel caso della Gescal a pagare sono infatti i lavoratori dipendenti ma a beneficiarne sono tutti i cittadini.””

 

Nel 1996, data in cui uscì questo articolo sui quotidiani, erano già circa 25 anni che la mia famigliola versava contributi alla Gescal, essendo normale per noi cittadini emiliani lavorare entrambi in famiglia. Ma le nostre domande per ottenere una casa Gescal o Comunale vennero tutte respinte proprio perchè il cumulo dei redditi familiari superava quello previsto dalle graduatorie e in più, ahinoi, non avevamo né anziani a carico né prole numerosa ma solamente, vergognosamente, egoisticamente, qualunquemente… un solo figlio. Questo per ricordare ai lettori a chi furono assegnate quelle case finanziate dai lavoratori dipendenti, perché spesso ne beneficiarono non meglio precisati lavoratori autonomi che denunciavano redditi da fame o in perdita, oltre ai soliti nuclei plurifamiliari meridionali con il solo capofamiglia occupato. Infatti oggi le più accese proteste sulle assegnazioni e prebende varie vengono proprio  dagli italiani del Sud che si vedono spiazzati dai nuovi poveri, gli immigrati extracomunitari, i quali, sempre attraverso le graduatorie di merito, diventano i “”privilegiati”” degli aiuti comunali. Una ruota che gira, ma, ripeto, una ruota che per noi, che l’abbiamo costruita ed avviata, non ha mai girato.

Il problema abitazione oggi ha molteplici facce, e tutte buie. A fronte di una crisi nel settore delle costruzioni, che vede una disoccupazione vicina al 20%, si riscontrano almeno 120 mila case invendute, una bolla immobiliare che inizia a preoccupare, niente in confronto alla Spagna che annovera oltre un milione di case invendute, ma che preoccupa sia investimenti ( -31% ) che mutui casa (-26%). La crisi abbatte le disponibilità finaziarie delle famiglie, molti non riescono più a pagare: negli ultimi dodici mesi sono stati 50 mila gli sfrattati e le proroghe non sono più possibili. Le case popolari non si sono costruite, come abbiamo visto, ed ora ci sono 650 mila famiglie che avrebbero sì i requisiti per occupare un alloggio popolare ma non hanno la possibilità di accedervi perché mancano le strutture ! Quando io uscii di casa a soli 22 anni, un affitto equivaleva ad un terzo di uno stipendio medio, ora equivale alla metà dello stipendio, essendo i primi aumentati e gli stipendi ridotti. Lo stereotipo di vita dei nostri padri:  un tetto sulla testa poco prima di sposarsi, lavoro fisso, pensione a 53 anni, lauto TFR,  è finito nei libri di fiabe per bambini: mentre a metà degli anni ’60 erano sufficienti 3,5 anni di stipendio per farsi un tetto, oggi per comprare una casa in una zona urbana semicentrale servono 9 anni di stipendio medio, sempre se uno è fortunato e lavora con una certa continuità.

 

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