Festa del 1° Maggio ai tempi della crisi

Condividi su i tuoi canali:

None

di Alberto Venturi

Sono cresciuto con la durezza ideologica del Sessantotto, impastata con il vento nuovo del Concilio Ecumenico Vaticano II, con un po’ di Libretto Rosso di Mao e, probabilmente, con gocce del deamicisiano Cuore.. Sembrava che la società capitalista implodesse da un giorno all’altro, tante erano palesi e violente le sue contraddizioni, come del resto m’aveva predetto perfino un gesuita nella sociologica Trento . I padroni, inutili sanguisughe del lavoro altrui, avrebbero lasciato il posto a forme di gestioni comuni.

Non è andata così, stando le leve del potere nelle mani degli eliminandi e la sinistra preferendo le utopie a forme di cogestione nelle imprese. Però diritti e tutele dei dipendenti gradualmente aumentavano, dandomi l’illusione che fossero possibili cento piccoli passi e che i padroni fossero ‘imprenditori’, perché si poteva essere tutti ‘contenti’ e l’interesse di una parte sociale combaciare con l’interesse dell’altre. Ho vissuto rinnovi contrattuali nel distretto ceramico tirati per le lunghe soltanto per non perdere la faccia; d’altro canto il costo del personale era percentualmente in costante diminuzione rispetto a voci come l’energia, la logistica, il marketing.  La differenza sostanziale, secondo me, è che l’imprenditore pone al centro del suo agire l’impresa, mentre il padrone la vede come suo bene, del quale disporre come meglio conviene.

Da un certo momento in poi,  con i primi segnali addirittura già nella marcia degli impiegati Fiat e nel referendum sulla scala mobile (1985), i diritti e le tutele del lavoro hanno cominciato a raggrinzirsi e diversi imprenditori hanno visto la possibilità di tornare padroni, aiutati da una politica supina, brava a risparmiare patrimoniali, elargire contributi, rendere più facili i licenziamenti senza nulla pretendere in cambio in termini di sedi all’estero, delocalizzazioni selvagge, stabilimenti chiusi senza alcun onere di ripristino e di bonifica, possibilità di fare spezzatini: si vendono il marchio, i macchinari, la rete commerciale, Lasciando solo i capannoni pieni di operai e vuoti di lavoro, tutti abbandonati al loro destino.  Ci sono mille regole che tutelano la proprietà e la sua totale libertà d’agire, ma neanche una che difenda i lavoratori e perfino la tanto decantata riforma Biagi, così come fu stata licenziata, forse davvero troppo lontana dalle volontà del suo estensore, ha trasformato il mercato del lavoro in un opificio di precariato.

Il Primo Maggio, ai tempi della crisi generata dai ricchi e pagata dai ceti popolari, potrebbe essere di speranza se si stessero impostando cento piccoli passi per riequilibrare il sistema, affinché chi ha voglia di lavorare, possa programmare il futuro con un reddito minimo garantito. Invece i cento piccoli passi sono di gambero, ancora all’indietro e Matteo Renzi sembra galoppare più che camminare.

Il Primo Maggio torna ad essere una giornata di lotta, anche se fatico a riconoscere chi, fra partiti e sindacati, possa marciare in testa al corteo. 

di Gianni Galeotti

  Per me la festa del 1° maggio non ha mai avuto un gran senso. Ed oggi, che la disoccupazione continua ad aumentare, la propaganda renziana si scontra e viena sconfessata dalla realtà di dati drammatici, e schiere di persone che hanno fatto ed avrebbero fatto carte false per potere lavorare anche nel giorno di festa, di senso ne ha ancora meno. Così come il 25 aprile, anche la festa del lavoro, anziché essere momento condiviso, è stata negli anni politicizzata, ideologizzata, e fatta propria da una certa parte politica che ha avuto nel sindacato di sinistra, e nella sua presunzione di essere l’unico difensore dei diritti dei lavoratori contro i ‘cattivi padroni’, stampella e cinghia di trasmissione. Quest’anno, in cui il PD è sia al governo sia all’opposizione, con una realtà politica, economica e sociale, stravolta, schizofrenica, oltreché drammatica, la festa del primo maggio ha seguito, paradossallmente, il solito cliché, come se il mondo fosse sempre lo stesso: da un lato i sindacati che ostentano la festa del lavoro come la loro festa, con i propri segretari a ripetere sul palco le stesse frasi dette in tutte le salse in tv nei giorni precedenti e a denunciare, con toni che via via si infiammano parallelamente e prevedibilmente al passaggio dal comizio di UIL, CISL e CGIL, l’insufficienza delle politiche governative in tema, appunto, di lavoro ed occupazione.  Dall’altro la guerra delle cifre sulla partecipazione al corteo ed il governo che rivendica il proprio impegno. Stesso format, stessa retorica, in un mondo che cambia alla velocità della luce. Un mondo in cui le persone, sia occupato sia soprattutto coloro che il lavoro l’hanno perso, e non ce l’hanno, considerano il sindacato e le sue battaglie di retroguardia tese a difendere chi il lavoro già ce l’ha e non a generare nuovo lavoro, alla stregua dei politici da cacciare e rimandare a casa.

E ad accompagnare l’obsoleto format non può mancare il solito concerto, anch’esso politicizzato, noioso, ridotto a palcoscenico mediatico per centri sociali, megafono per slogan triti e ritriti, pacivendoli, gay-friendly o, moderatamente blasfemi. Bastava guardare le facce dei partecipanti in Piazza San Giovanni per leggere la noia, la tristezza, e lo sbando di un popolo di lavoratori e non sfiduciato che non crede più a nulla. Quest’anno, per la prima volta dopo vent’anni, non ho vissuto il primo maggio lavorando e, sinceramente, avrei voluto farlo. Anche solo per non sentirmi indirettamente parte e complice di una festa che non sento festa. Tanto più quest’anno credo che sarebbero stati tanti che il 1° maggio anziché una festa comandata avrebbero preferito un lavoro a comando. A rischio di scadere in quella stessa retorica che mi schifa e che critico nel teatrino del primo maggio, auspico che almeno il prossimo anno anche i milioni di lavoratori autonomi  che, come chi scrive, si trovano senza tutele, senza coperture, senza diritti, ed in ginocchio nel momento in cui il lavoro lo perdono, possano avere motivo di festeggiare lavorando un anno pieno di lavoro, e non un giorno vuoto di non lavoro.

[ratings]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

In evidenza

Potrebbe interessarti anche...

San Felice sul Panaro

Casa della Comunità, Calzolari e Guicciardi: “Forza Italia si assuma le proprie responsabilità e solleciti il governo per ottenere le risorse mancanti sulla Casa della Comunità”

Il giro del mondo in 800 presepi

Al Museo del Presepe etnico di Fiorano Modenese, aperto durante le festività. 60 opere della collezione sono esposte anche a Gradara e Cagli in questo periodo Per