Troppi femminicidi.
Sarebbero troppi anche se fosse uno soltanto, ma purtroppo sono sempre di più.
In televisione, nei programmi pomeridiani, si alternano cronisti che ci mostrano soprattutto cancelli, campanelli e giardini (Del resto l’altra sera un giornalista ha interrotto un ospite, sostenendo: “Scusi, ma non possiamo mancare l’uscita di Draghi”. Segue passaggio di auto. Fine. Che cosa non possiamo mancare? Che l’incontro sia finito e Draghi usi un’auto?).
I cronisti di femminicidi sono specializzati nel raccogliere i commenti dei famigliari, dei vicini e della amiche di lei. Io però non ho ancora ascoltato interviste agli amici di lui. Che tipo era? Quali i suoi passatempi? Con chi? Cosa raccontava? Come si comportava quando uscivano insieme, o sul lavoro?
Perché io vorrei saperne di più per provare a capire dove s’accenda la scintilla che provoca il corto circuito mortale, o dove la brace covi a lungo prima di infiammarsi.
Ad esempio, Benno: una sequenza di ponti, di fiumi, di strade, la casa, lui palestrato, foto in posa prese dai social. Ma nel suo paese cosa pensavano di lui? In palestra come si comportava? A scuola? In parrocchia? E nella discoteca?
E invece li lasciamo nell’ombra. Li definiamo mostri, pazzi, violenti ma questo è soltanto l’ultimo capitolo. Parlare di lei ci aiuta a condividere il dolore, l’assurdità e l’ingiustizia; parlare di lui ci potrebbe aiutare a fermare qualche braccio che sta per alzarsi.