Lo confesso: sto perdendo il filo del dibattito sul sistema elettorale, ma non ci perdo il sonno, convinto che se non cambia la classe politica non ci sono metodo, algoritmo o tecnica capaci di accendere, automaticamente, la fiamma del buongoverno, pur ammettendo che possono spegnerla.
Il deficit italiano, più ancora di quello economico, riguarda lo spirito di servizio che dovrebbe essere alla base della rappresentanza politica nelle istituzioni, capace di risolvere o attutire i difetti legislativi mettendo al primo posto il bene dei cittadini e non quello del proprio partito o movimento.
Già oggi, nella nostra follia tutta italiana, riusciamo a convivere, pur ansimando, con svariati sistemi elettorali. Ne abbiamo uno per la Camera, uno per il Senato, uno per le elezioni europee, svariati per le comunali (diverso per paesi con più o meno di 15.000 abitanti), le regioni hanno abiti su misura e non solo con differenze fra regioni a statuto ordinario o speciale. Eppure, alla fine, il risultato non cambia, perché non cambiano i suoi protagonisti, non cambiano i ricatti fra i diversi partiti nel nome della visibilità, del potere e del proprio clan. Le esigenze dei cittadini vengono dopo.
Mi viene in mente una ragazza che vuole sposarsi, illudendosi che la scelta dell’abito sia di garanzia per il buon funzionamento del matrimonio; continua a provarsene, ma il moroso resta quello.
Un cattivo sistema elettorale è di ostacolo al buongoverno ma un cattivo politico rende vano ogni sistema elettorale. Non funzionava più il proporzionale perché i piccoli partiti ricattavano i maggiori, obbligati ad alleanze ‘rusca e busca’, ma neanche il Mattarellum del 1993 ha funzionato perché, attraverso i collegi uninominali, rendeva necessario siglare alleanze prima del voto, con risultati sempre litigiosi poi, se non letali, leggi Bertinotti e Mastella, leggi la Lega con Berlusconi e via dicendo.
Nel secondo suo governo, Romano Prodi, era sostenuto da Democratici di Sinistra, Margherita, Rifondazione Comunista, Radicali, Socialisti Democratici Italiani, Italia dei Valori, Verdi, Udeur, Comunisti Italiani, Socialisti Italiani, Lega per l’Autonomia Alleranza Lombarda, Dcu, Partito Democratico Meridionale, Italia di Mezzo, Repubblicani, Consumatori Uniti, Unione Democratica, Sudtiroler Volkspartei, Autonomie Libertè Democratie, Associazioni Italiane in Sudamerica e Movimento Politico dei Cittadini. Un delirio! Ogni colpo di tosse, il timore di una crisi fatale. Peccato perché il Mattarellum permetteva di eleggere tre quarti dei seggi, sia della Camera che del Senato, attraverso il maggioritario uninominale. Il restante 25% nel Senato era destinato ai candidati non eletti più votati, mentre alla Camera si votavano listini bloccati con sbarramento del 4%.
Le preferenze sono naufragate in giochi di potere, divenuti strumenti per la criminalità organizzata, ma una volta eliminate abbiamo lamentato la scarsa possibilità di scelta degli elettori e oggi le abbiamo risuscitate con la variante del ‘genere’.
Di nuovo parliamo di riforma elettorale e di nuovo i partiti si dividono nel nome della governabilità (auspicata dai grandi) e della rappresentanza (invocata dai piccoli).
Quali obiettivi dovrebbe raggiungere la riforma elettorale? Fare in modo, che il giorno dopo la chiusura delle urne, ci sia un partito o una coalizione con i numeri per governare sia al Senato (perché non lo aboliamo del tutto?) che alla Camera; ci siano eletti scelti dal popolo e non imposti a scatola chiusa dalle segreterie; ci sia la più vasta rappresentanza di idee e istanze sociali, con l’unico limite di non inficiare la governabilità; ci sia l’obbligo, per chi si è presentato con una lista, di dimettersi in caso di abbandono di quel gruppo. Releghiamo ai libri di storia la vergognosa compravendita dei deputati. Non è vero che noi eleggiamo un cittadino il quale ha la titolarità completa della rappresentanza; noi eleggiamo un cittadino che si è presentato con un determinato simbolo e un determinato programma; se viene a mancare uno di questi elementi il patto è rotto.