Negli ultimi trent’anni all’interno delle economie occidentali avanzate è aumentata la disuguaglianza economica tra ricchi e poveri. In Italia l’1% dei più ricchi detiene il 25% della ricchezza nazionale, ed il primo 20% dei ricchi ne detiene il 70% del totale, in un processo che prende il nome di terzomondizzazione delle economie avanzate. Il ceto medio in Italia sta lentamente scomparendo, lasciando il posto a un ceto basso e povero sempre più ampio, mentre i super ricchi accrescono il loro potere e la loro ricchezza senza limiti.
Già adesso, infatti, chi nasce in una famiglia ricca ha assicurato l’accesso alle migliori scuole e ai migliori servizi e, in questo modo, ha possibilità ed opportunità maggiori rispetto a chi nasce in una famiglia normale o in una povera. Il mondo del lavoro procede di pari passo; con i rampolli delle grandi famiglie che hanno posti assicurati e redditizi, mentre per gli altri l’incertezza economica e l’insicurezza lavorativa stanno diventano una triste costante.
La disuguaglianza economica porta quindi ad una discriminazione sistematica basata sul denaro, sia nell’istruzione che nel lavoro.
In Italia, più 6 milioni di persone, cioè il 10% dei nostri concittadini vive al di sotto della soglia di povertà. Inoltre è calcolato che più di un’italiano su due viva, invece, con un reddito medio netto di 1500 euro mensili, il quale consente la sopravvivenza, ma non la programmazione del futuro, soprattutto per i giovani, in assenza di patrimoni familiari preesistenti.
Tuttavia nella storia recente tra il 1950 e il 1980, abbiamo assistito ad un fenomeno contrario; cioè alla diminuzione della disuguaglianza e all’aumento medio dei redditi di tutte le classi.
I nostri governi di allora intervenivano in economia con politiche a favore dei più deboli. Oggi invece è il mercato a dominare lo Stato ritenuto inefficiente e l’economia reale è così abbandonata a sé stessa.
Tuttavia non è impossibile tornare a un’economia più equa e sostenibile, ma per farlo dobbiamo liberaci dell’attuale struttura finanziaria, burocratica e politica, poiché è proprio l’architettura del capitalismo finanziario a prevedere che la ricchezza dalla base della piramide si muova verso la sua punta. Solo riportando l’economia a misura d’uomo e al suo ruolo di scienza sociale e cioè, riconoscendo che il mercato non è infallibile, che le unioni monetarie non sono per sempre e che gli investimenti devono essere fatti nell’economia reale e non solo nella finanza, potremo migliorare davvero le cose.