Credo che lo sdegno, o il dolore, o il disprezzo, quando raggiungono livelli supremi, portino al silenzio, nel privato così come quando la cronaca più tragica inonda già a sufficienza la vita pubblica.
Generalmente scelgo il silenzio anche per le cose troppo ovvie, anche se qualche incursione da “pulcina stupita” magari la faccio, su certe ovvietà…su quanto sia ingiusto, e umiliante, ad esempio, il concetto della donna come diversivo. Come se essa fosse solo un budello scacciapensieri, senza idee, desideri, sogni e paure, ma vivesse in funzione esclusiva di questo ruolo. Ruolo nel quale comunque essa stessa si è relegata e, sbigottiti, assistiamo a come, senza problemi, con una operazione di marketing redditizia e a costo zero, si pubblicizzi l’attività di escort, parlandone sui giornali e nei notiziari televisivi.
E dire che c’è chi a un sinile insulto, a una simile ingiusta bollatura si ribellerebbe, inorridirebbe, piangerebbe per mesi… Il mondo è sicuramente vario, si sa, ma bello non lo è proprio sempre. Comunque, per quanto ovvie siano certe cose, dicevo, se ne parla con una sorta di divertito cinismo, si fanno le battute, si ride e si accetta tutto, infine, assuefatti.
Comunque sia, per convenienza, per pigrizia, per smania di denaro facile, per assoluta mancanza di rispetto verso sé stessa, c’è qualche donna che si sceglie e ben si adatta a questo ruolo.
E’ chiaro però che, quando questo ruolo per qualche motivo non lo interpreta più, essa è finita, viene gettata via come persona. Nessuno la conosce, nessuno l’ha mai vista, nessuno sa come si chiama, da dove viene, che cosa fa, nessuno sa di cosa parla, e perché parla, soprattutto…
Indimenticabile, a questo proposito, ciò che quel gran maître à penser di Emilio Fede, dall’alto, si fa per dire, della sua canizie camuffata, suggerisce ai magistrati che cosa devono fare di queste persone.
Persone che, dapprima immortalate in immagini al limite del trash, sorridenti,compiacenti e ammiccanti, guardano poi dalle foto segnaletiche della polizia, irriconoscibili e smunte, quando cominciano a vuotare il cosiddetto sacco. Un sacco fatto di puro letame, se non fosse un ossimoro associare la purezza ad esso.
«Ai magistrati vorrei dare un suggerimento – dice il direttore del Tg4 – mettetele tutte in galera, anzi meglio in manicomio».
Giusto.
Questo grandissimo gentiluomo, ritiene sia giusto far passare per squilibrate le persone divenute scomode, quelle che scoprono gli altarini, quelle che rappresentano un pericolo per lo sgretolamento di certe facciate ipocrite e perbeniste.
Giusto.
Un bel trattamento psichiatrico, un bel soggiorno in Psikhushka, magari prolungato, è quello che ci vuole.
Meraviglia un po’ che i metodi, alla fine, siano gli stessi usati dagli “”odiati comunisti”” per isolare ed esaurire psichicamente i nemici politici, ma non meraviglia il sommo spregio cui questo, come altri sedicenti cultori delle grazie muliebri, in realtà misogini meschini e crudeli, riservano alle donne.
In fondo, dalla Granbascia[1] alla Piskhuskha[2], il passo è breve.
Ma non solo la donna è sminuita e offesa da tutto questo.
Sempre più spesso, e soprattutto dagli ultimi avvenimenti, credo che ad essere offesi dovrebbero essere gli uomini, che non si dividono
automaticamente in due tipologie, ossia gay ed estimatori di escort.
Un po’ troppo semplicistico, nonché ingiusto e grossolano. Proprio come spacciare per virilità la lascivia,che della virilità è uno squallido sottoprodotto.
A.Z.
[1] Il giornalista virtuoso e la “Granbascia” art. firmato Maria, su Bice n. 147, ottobre 2008. Emilio Fede, per sminuire e dileggiare la valletta di Anno Zero, carabiniere e campionessa olimpionica Margherita Granbassi, pensava bene, in ogni suo TG, di chiamarla “la Granbascia”. Ostentava così superficiale conoscenza e faceva, allo stesso tempo, una battuta da guitto d’avanspettacolo, storpiandone il cognome, evocando un triviale epiteto, uno dei molti sinonimi di escort. Si divertiva molto, forse era anche l’unico.
[2] Ospedali psichiatrici istituiti dal governo dove venivano internati i dissidenti dell’allora Unione Sovietica, per curarli