Dacci oggi la nostra violenza quotidiana

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Da spettatorii siamo  subissati di sparatorie e assassinii, oppure di programmi pomeridiani interamente dedicati alla cronaca nera, trasformata in fotoromanzo televisivo dove si fa presa sulle emozioni e non sulla ragione; lo stesso modo violento è utilizzato dai telegiornali, pronti ad amplificare le reazioni esasperate di persone coinvolte dalle tragedie della vita e, del resto, la stessa aggressività e violenza caratterizza il dibattito politico e l’attività del Parlamento

Ha ragione il presidente Barack Obama: “Le preghiere non bastano più. Possiamo fare qualcosa per cambiare le cose, ma non posso farlo da solo, senza il Congresso, senza i governatori “”. Lo ha detto parlando ad una nazione, sconvolta dall’ennesima strage in una scuola , ma incapace di liberarsi dalla potentissima lobby delle armi, che addirittura finanzia campagne per diffondere la paura tra la gente. L’80% degli statunitensi è d’accordo per regolamentare la vendita e la detenzione delle armi, soprattutto di quelle da guerra, ma invano. I soldi e il potere vincono sul volere dei cittadini.

In Italia, di fronte a queste notizie, scuotiamo la testa, ma stiamo sperimentando anche noi  aggressività e violenza quotidiane, come dimostrano i femminicidi, i pestaggi ai guidatori di mezzi pubblici, le crudeltà contro i disabili, i raid omofobici, le liti degenerate fra vicini, fra parenti e soltanto la fatica di procurarsi un arma da fuoco riesce a limitarne l’impatto.

C’è alla radice una ipertrofica percezione dei nostri diritti, al pari dell’atrofizzarsi di tutto ciò che sarebbe nostro dovere. ‘Quello che mi pare, quando mi pare, come mi pare, tutto e subito’, si declina con ‘il possesso’ come unità di misura della nostra identità: siamo ciò che possediamo. Lo esprimiamo con il linguaggio della nostra quotidianità, in particolare dai media, internet e tv soprattutto.

Sedetevi davanti al piccolo schermo e, salvo complicati slalom, sarete subissati di sparatorie e assassinii, oppure di programmi pomeridiani interamente dedicati alla cronaca nera, trasformata in fotoromanzo televisivo dove si fa presa sulle emozioni e non sulla ragione; lo stesso modo violento è utilizzato dai telegiornali, pronti ad amplificare le reazioni esasperate di persone coinvolte dalle tragedie della vita e, del resto, la stessa aggressività e violenza caratterizza il dibattito politico e l’attività del Parlamento. Internet può diventare anche peggio se non c’è alle spalle una capacità di giudizio matura, perché tutti valgono uno e l’impunibiltà è nei fatti; la verità più profonda e l’accusa più gratuita viaggiano con parti dignità e pari spazio, affidando il giudizio all’enfasi più che all’esame delle affermazioni.

Il linguaggio violento promuove una realtà violenta e viceversa, in una escalation che trova compimento nella difficoltà crescente a distinguere fra reale e virtuale, fra immaginario e concretezza quotidiana, per cui uccidere diventa soltanto la ripetizione di ciò che digeriamo quotidianamente. 

Si potrebbe invertire la tendenza chiedendo ai media pubblici, finanziati con il canone, di inseguire la parte migliore di noi, quella della testa e del cuore, non la nostra pancia e le nostre viscere; di fare cioè leva sulla ragione e sui sentimenti, non sull’emotività che genera paura, diffidenza e rancore.

 

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