Fra i tanti ricordi di Raffaella Carrà, spesso affidati a vecchi tromboni della televisione, uno mi ha colpito, quello di Minoli. Ai tempi di Mixer un sondaggio sul personaggio dell’anno metteva al primo posto la Carrà, seguita da Pertini e Giovanni Paolo II. Era il primo segnale che lo spettacolo stava imponendosi sulla politica e per questo censurato dai vertici Rai; uscì in versione addomesticata sul Corriere Tv, con la triade a parimerito.
Come sempre, mettere la testa sotto la sabbia non serve e infatti lo spettacolo è diventato predominante, fino a mangiarsi la politica, con un travaso di cantanti e personaggi tv dall’una all’altra sponda con contributi irrilevanti per le sorti nazionali; con l’affollarsi nei salotti di politici e ministri a elemosinare un po’ di empatia; con l’Italia affidata all’impresario dello spettacolo come stile di vita, Silvio Berlusconi (non dimentichiamo la sua iscrizione alla P2), con un comico assurto a Che Guevara nostrano del vaffa ed ora con una influencer apparentemente capace di causare scossoni con un post, in realtà anche lei attrice dell’unica commedia italiana che comprende tutti: leader, comprimari, nani, ballerine, artisti che si svolge nella realtà irreale dei media. Perché oggi conta a quanti lo dici, non cosa dici.
Senza accorgercene i ragionamenti hanno lasciato il posto alle battute, i programmi agli slogan, i confronti alle liti, ma, scrive giustamente Seth Moskowitz sul Domani di oggi, “Slogan e meme offrono scorciatoie per il pensiero, ma non soluzioni”.