Churchill è morto.
“Un nobile cuore si è spezzato”, direbbe Shakespeare. L’Inghilterra ha perduto il più grande dei suoi figli, l’uomo che l’aveva condotta dalla disfatta alla vittoria, dalla disperazione alla salvezza. E il mondo libero ha perduto una grande luce.
Tutta la vita, tutte le sue forze e il suo genio, egli dedicò al servizio del suo paese. Ma oggi lo piange tutto il mondo e lo piangono anche le nazioni che combatterono contro l’Inghilterra. Questo, in parte, perché la vera grandezza storica si impone sempre al rispetto e all’ammirazione dei popoli. E in parte perché l’Inghilterra, nell’ora più tragica della sua storia, difese non solo se stessa, ma anche il supremo ideale della libertà umana.
Altri narri le vicende della sua vita gloriosa e splendida. E, per narrarle, dovrà fare la storia dell’epoca, che fu sua. La sua carriera politica fu paradossale. Le sue superbe qualità furono riconosciute fin dal principio e, tuttavia, ci fu bisogno di quarant’anni perché egli raggiungesse
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La missione di Cassandra è la più ardua e la più ingrata che possa toccare a un uomo politico. Churchill la esercitò per quindici anni: dal 1924 fino alla guerra. Non dall’avvento di Hitler, come comunemente si crede, ma da molto prima. Fin dal 1925 pubblicò un saggio: “Ci suicideremo tutti?”. Era l’anno di Locarno, e da un capo all’altro dell’Europa si sognava la pace universale. Ma la sua voce grave ammonì: “Neppure per un istante sì creda che il pericolo di una nuova esplosione in Europa sia passata”. In un altro saggio profetò che “entro cinquant’anni” sarebbe sorto lo “Stato-robot”. Avrebbe potuto la democrazia tenere testa al pericolo? I parlamenti dei paesi democratici erano altrettanti fallimenti, e “i loro governi andavano alla deriva seguendo la linea di minore resistenza”. Così cominciò la battaglia della sua vita, la battaglia per persuadere l’Inghilterra a provvedere per la sua salvezza.
Il 30 gennaio 1933 Hitler salì al potere in Germania. E da allora Churchill non ebbe più pace. Gli armamenti nazisti diventarono l’incubo della sua vita. “Ciò che più ci deve preoccupare è il riarmo aereo della Germania. Per noi, il pericolo di un attacco aereo è formidabile”. Si arrivò al drammatico dibattito, in cui egli rivelò le proporzioni del riarmo aereo tedesco, e Baldwin lo smentì. Poco dopo, Hitler stesso confermò le rivelazioni di Churchill. Allora Baldwin – pallido in volto, le mani tremanti – confessò alla Camera dei Comuni di essersi ingannato. Ma tutto finì con un rimpasto del Governo, e l’Inghilterra continuò a dormire. Contro la ottusità di un MacDonald, di un Baldwin, di un Chamberlain, si infransero tutti gli sforzi di Churchill e tutte le sue profezie furono vane. Chamberlain passò da una capitolazione all’altra pur di evitare
E venne l’ora del supremo pericolo. Allora, l’Inghilterra si volse a lui. Egli salì al potere e fece appello alle virtù profonde della razza. E tutto il popolo inglese si strinse intorno a lui in una eroica e disperata volontà di resistere. “Fu la loro ora più bella”, scrisse poi Churchill. E fu anche la sua ora più bella. Fu allora che egli assurse alle proporzioni di eroe
nazionale, anzi dell’eroe nazionale. Pitt aveva condotto alla guerra un’Inghilterra in fresco sboccio di giovanile energia, avida di dominio e di impero. Lloyd George un’Inghilterra vigorosa, potente, pienamente conscia della sua missione storica e risoluta ad adempierla. Ma Churchill si trovò sulle braccia un’Inghilterra in piena disfatta. Egli la raccolse, per dir così, sulle spiagge di Dunkerque. E di quell’Inghilterra, che sembrava finita, fece un’Inghilterra di ferro. Da Dunkerque a El Alamein è la distanza che divide la morte dalla vita, la disperazione dalla vittoria. E l’Inghilterra deve a Churchill se riuscì a percorrere quella terribile via. E si è tentati di parafrasare un suo motto famoso: “Mai tanti furono debitori di tanto a un solo uomo”.
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Churchill fu a volte l’uomo più impopolare d’Inghilterra. Altre volte conquistò il cuore e l’immaginazione del popolo inglese senza mai indulgere ai gusti, alle debolezze, ai vizi, che sono propri della moltitudine: anzi, contrariandoli. Quando il popolo inglese si abbandonava al piacere del vivere facile e lieto, egli si assumeva la parte ingrata del profeta di sventure; e la moltitudine rispondeva ai suoi moniti: “Guerrafondaio”. E quando scoppiò la nuova guerra, Churchill parlò alla sua nazione il più duro linguaggio che mai uno statista abbia parlato a una nazione in guerra. Neppure per un istante permise che il popolo inglese si facesse illusioni o si cullasse in facili speranze. “Sangue, fatiche, lacrime e sudore”: niente altro promise. Ma con quel suo duro virile spietato linguaggio risvegliò virtù sopite e diede alla vecchia Inghilterra un’anima nuova.
Alla fine della guerra Churchill era una figura leggendaria. Dice il Guardian: “Una figura mondiale, che avrebbe dato il suo nome a quest’era, sicché le generazioni future l’avrebbero chiamata il secolo di Churchill”. I conservatori perdettero le elezioni, Churchill abbandonò il governo, poi lo riprese, e il fatto che fosse lui al timone prolungò la posizione dell’Inghilterra come grande potenza. Ma, appena lui si ritirò, la decadenza cominciò e procedette rapidamente. E anche Churchill decadde. Continuò a frequentare la Camera dei Comuni ma ormai non era più che il superstite di se stesso. La voce che una volta aveva fatto tremare i tiranni e aveva rincuorato il mondo degli uomini liberi, taceva. E sulla sua splendida intelligenza la tarda età aveva steso come un velo. Il 27 luglio dell’anno scorso, uscì dalla Camera dei Comuni, e ora, meno di sei mesi dopo, esce dalla scena di questo mondo. Si chiude così l’era di Churchill.
Augusto Guerriero
(da « Corriere Della Sera 25 gennaio 1965»)
tratto da: Giornalisti grandi firme Eugenio Marcucci ed. Rubettino pag. 257